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RACCONTO
 
 
Adamo Bencivenga
LA DONNA CON LA SIGARETTA
In una hall d’albergo sulla strada per Siena, sotto una neve che danza lenta, il profumo di tuberosa e il rosso di un rossetto accendono la notte. Luca, un uomo intrappolato dal desiderio, incontra Anna, un enigma di seta e mistero. Tra sguardi e sigarette, un gioco di seduzione audace lascia un rimpianto che brucia come il fuoco nel camino.

 


 


 
Sarà l’inverno che morde l’anima, sarà questa hall d’albergo sulla strada per Siena, un rifugio di velluto e ombre con il crepitio del camino che si intreccia al tintinnio del ghiaccio nel mio Martini. Fuori, la neve cade lenta, fiocchi che danzano contro i vetri appannati, e il cameriere, un ragazzo dal sorriso toscano, scuote la testa mentre sparecchia un tavolo accanto al mio.
“Stanotte non si passa, signore,” dice, prendendo i calici vuoti. “Neve a raffiche, fino a domattina. Quanto Dio ne vuole, dice la radio.”
“E tu, che fai con tutta questa neve?” chiedo, sorseggiando il Martini, gli occhi già catturati da lei.
“Studio, signore. Due esami a novembre. E aspetto che smetta di nevicare.” Ride, poi si allontana, lasciandomi solo con il mio bicchiere.

Sarà lei, la donna seduta di fronte, un’apparizione che mi ruba il fiato. Indossa una veletta nera, un pizzo antico che le sfiora gli zigomi come una carezza proibita, e un vestito di lana scura, aderente, che abbraccia le sue curve con una severità che sa di peccato. Le mani, pallide come porcellana, si muovono lente, le unghie laccate di un rosso così profondo da sembrare sangue versato. Le labbra, dipinte dello stesso rosso, lucide, catturano la luce delle lampade come un faro nella tempesta. Mi perdo a guardarla, e penso che non sarebbe male scambiare parole che si fanno carezze, passare la notte senza contare le ore.

Cerco un pretesto, ma ogni frase mi sembra indegna di una donna così, elegante come un enigma, severa come una regina. Lei non mi vede, finora non mi ha mai visto, eppure io la divoro con gli occhi. Accavalla le gambe con una grazia che mi fa tremare, e sotto l’orlo della gonna, che si solleva appena, intravedo un riflesso di pelle, morbida, lattiginosa, e la trama di una calza nera, sottilissima, velata, con una riga perfetta che corre sul retro e si arrampica lungo la coscia. La seguo come un invito a immaginare dove finisca, se ci sia una giarrettiera, un dettaglio che tradisca la sua compostezza. Il pensiero mi fa stringere il bicchiere più forte.

“Non è una notte per viaggiare, vero?” Azzardo, la voce bassa, sperando che mi senta. Lei solleva gli occhi, verdi, screziati d’oro, incorniciati da ciglia lunghe e nere, l’ombretto scuro sfumato come un’ala di corvo. “No. Ma le notti così… hanno il loro fascino.” Sorride, e quel sorriso è una lama.
Sarà la sigaretta spenta che stringe tra le labbra, che ora schiude appena, sarà ora che poggia la borsa sulle gambe, una clutch di pelle nera lucida, e rovista all’interno, le unghie che scintillano, un sospiro che le sfugge, quasi un lamento. La gonna, leggera, si apre in uno spacco laterale, audace, che lascia intravedere l’attaccatura della calza, un confine tra tessuto e carne che mi fa deglutire. Il suo profumo di tuberosa mi arriva a folate, inebriante, come un invito a perdermi.

“Ha perso qualcosa?” Chiedo, sporgendomi appena.
“Il mio accendino.” Dice, senza guardarmi, le dita che frugano ancora. “Sempre quando serve, sparisce.” La sua voce è un misto di fastidio e ironia, e mi dà il coraggio di alzarmi.
Prendo il mio accendino, la fiamma che danza tra le mie dita. “Posso aiutarla?” Dico, avvicinandomi lento. “È questo che cerca?”
Lei solleva lo sguardo, e per la prima volta mi vede davvero. Le sue labbra si curvano in un sorriso lento, pericoloso. “Forse…” Mormora, prendendo la sigaretta tra le dita e avvicinandola alla fiamma.
Per un istante le sue dita sfiorano le mie, un contatto elettrico, deliberato, che mi fa quasi tremare. Poi aspira, e il rosso delle sue labbra si fa più intenso, come se il fuoco le avesse accese. “Grazie…?”
“Luca.” Dico. “E lei?”
“Anna.” Risponde, soffiando il fumo di lato, gli occhi che non lasciano i miei. “Solo Anna, per ora...”

Gli sguardi si intrecciano, un istante che dura un’eternità, il fumo che si alza tra noi come un velo di promesse. “Solo Anna è già abbastanza.” Dico, e lei ride piano, un suono che mi scalda più del camino.

“Lei è sempre così galante?” Chiede, inclinando la testa, la veletta che ondeggia come un sogno. Accavalla di nuovo le gambe, e lo spacco della gonna si apre ancora, lasciando intravedere un accenno di pizzo nero, una giarrettiera che mi fa quasi perdere il filo.
“Solo quando la notte lo merita.” Rispondo.
“E questa notte lo merita?” Il suo tono è un gioco, un invito, le sue dita che sfiorano la sigaretta come se accarezzassero qualcos’altro.
“Dipende, da cosa offre.” Azzardo con il cuore in gola.
Lei sorride, più audace, e si sporge appena verso di me, il suo profumo mi avvolge come una rete. “Di solito offre ciò che si sa cogliere.” Sussurra.

In quel preciso istante il suo cellulare vibra, un ronzio che spezza l’incanto. “Mi scusi.” Dice, alzandosi, nervosa. Risponde con un “Pronto” secco, passeggiando verso i vetri appannati. “Sì, sono qui. No, non posso muovermi, nevica. Sì sì, ora vado a dormire, tranquillo. Non preoccuparti, buonanotte.” Spegne la sigaretta con un gesto brusco, come se il fumo le offendesse gli occhi e torna a sedersi. Ma l’aria è cambiata, il calore si è dissolto.
“Problemi?” Chiedo, cercando di riportarla a me e ricreare quell’intesa.
“Solo lavoro.” Dice mentendo, ma il tono è distante, gli occhi persi altrove. “Sempre lavoro.”

I minuti scorrono e io sono di nuovo al punto di partenza, a inseguire nella mente una frase che non sia banale. Lei su quella poltrona si agita, come se impaziente stesse aspettando qualcosa, accavalla le gambe, la gonna sale impercettibilmente lasciando al vedo e non vedo quel segnale oltre il quale la sua discreta malizia non può più andare. Estasiato da quella visione le mie parole non escono e rimango immobile incapace di intercettare i suoi pensieri.

Un attimo dopo la vedo alzarsi, dirigersi verso le scale, la veletta che ondeggia come un’ala spezzata. Ma prima di andare, si ferma, si avvicina, lenta con il suono dei suoi tacchi. Si china appena, il viso così vicino che sento il calore del suo respiro, il profumo di tuberosa che mi stordisce. “Buonanotte Signore!” Sorride. Poi si avvicina al banco e a voce alta, troppo alta, scandendo il numero dice al portiere: “La 214, grazie!”

Sparisce, lasciandomi il suo profumo, una traccia di tuberosa crudele, un’occhiata sulle scale e un numero che mi brucia nella mente: 214, come fosse un’indicazione stradale, come fosse il segnale per raggiungerla. Ma resto immobile, il cuore martella le mie vene.

Passano i minuti, troppi, penso ormai sia troppo tardi. Perché non mi sono alzato? Perché non ho colto quel segnale, chiaro come un fuoco nella notte? Il rimpianto mi morde, un dolore sordo che si mescola al desiderio.
Chiamo il cameriere, ordino un altro Martini, la voce incrinata. “Quella donna…” Dico, indicando le scale. “La conosci?”
Lui tentenna, poi sorride, complice. “Si chiama Anna, signore. Di Firenze, una donna d’affari. Viene spesso, arriva in treno, resta tre giorni.”
“E stanotte?” insisto, la voce bassa. “È bloccata qui come me?”
“Sì, ma…” Si guarda intorno, poi si avvicina. “Non è una che si ferma a chiacchierare, non dà molta confidenza, capisce? Non ha mai condiviso né un’ora né una notte con nessuno. Una signora di classe, insomma.”
“Eppure ha fumato con me…” Dico, quasi a me stesso, il ricordo delle sue labbra e del suo tocco ancora vivo.

Il ragazzo mi guarda strano. “Fumato? Con lei? C’è qualcosa che non torna. La signora Anna chiede sempre una stanza per non fumatori. Sempre. Me lo ripete ogni volta: “Matteo, niente fumo, per favore.”
“Ne sei sicuro?” Chiedo, il Martini fermo a metà strada, il rimpianto che si fa più pesante.
“Arcisicuro, signore.” Dice, serio. “È la prima cosa che controlla.”
E mentre fuori la neve continua a cadere, io rimango solo, con il sapore del Martini, il fantasma di un profumo e il peso di un’occasione persa. La 214. Un numero che mi tormenterà per sempre, insieme al pensiero di cosa sarebbe successo se avessi osato di più, se avessi seguito quel sussurro, quel tocco, quel sorriso che era un invito a bruciare, più che la sigaretta, una notte intera.










Questo racconto è opera di pura fantasia.
Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e non sono da
considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con
fatti, scenari e persone è del tutto casuale.


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