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Adamo Bencivenga
Il Signor Bell
Giovedì
La Signorina Peterson
Era un gentiluomo
il Signor Bell, ogni giovedì alle 10 in punto usciva
dall’ufficio diretto alla Stamperia Monn. Come al
solito comunicava alla Signorina Crawford che ci
avrebbe impiegato non meno di un’ora, in tempo per
la riunione settimanale del comparto fatturazione
soci.
Scendeva le scale di corsa tenendo
sottobraccio gli originali delle fatture della
settimana. Da lì a poco li avrebbe consegnati al
figlio del Signor Monn e ritirato quelli della
settimana precedente.
Per questo tipo di
operazione, salvo imprevisti, impiegava sì e no
cinque minuti circa in modo tale da avere tutto il
tempo necessario per l’atteso incontro del Giovedì.
In effetti la Stamperia Monn era a soli due isolati
dalla casa della Signorina Peterson.
Il
figlio del Signor Monn, sempre puntuale nel suo
lavoro, gli avrebbe fatto trovare il pacco di
fatture comprensivo della bolla già nel reparto
consegna. Purtroppo però era un tipo molto socievole
ed era solito dilungarsi in discorsi frivoli.
Bell aveva avuto modo di constatare che in assenza
della moglie l’argomento preferito di Monn era il
suo rapporto confidenziale con le belle donne senza
trascurare le annesse descrizioni, molto dettagliate
e al limite del buon gusto, delle sue scappatelle
più recenti.
Il Signor Monn andava fiero
della sua clientela femminile composta perlopiù da
segretarie d’azienda e titolari di attività
commerciali della zona. Le sue vittime preferite
erano le donne sposate che, spesso insaziabili, si
lasciavano andare a gemiti ed urla nel minuscolo
bagno nel retro della stamperia. Certamente non
disdegnava la compagnia di giovani donne purché
avessero il seno grande.
“Sa Bell, la settimana
scorsa mi è capitata sotto mano una pollastra di
ventiquattro anni! Le ho fatto dire coccodè dopo
solo due giorni!”
Ecco questo era il livello dei
racconti del Signor Monn.
Il Signor Bell che
era un gentiluomo mai si sarebbe permesso di
interrompere il suo interlocutore soprattutto per
non vanificare quella tacita intesa che gli
permetteva di giustificare quei 55 minuti di assenza
dall’ufficio e non trascorsi nella stamperia.
Sperava, come era accaduto altre volte, di trovare
dietro il grosso bancone di legno massiccio la sua
gentile consorte che oltre ad essere una graziosa
moglie, era una donna molto riservata e taciturna.
Bell all’uscita della stamperia scuoteva la
testa pensando come fosse possibile tradire quella
splendida e remissiva creatura dagli occhi cenere ed
i capelli biondo grano.
In quell’esatto momento
pensò a Molly.
Durante il percorso verso la
casa della Signorina Peterson si fermava solo pochi
secondi al chiosco di fiori per acquistare un
tulipano rosso. Bell preferiva di gran lunga un Duca
di Tholl ad un Darwin, sicuramente più pregiato, ma,
a suo parere, eccessivamente grande. Come ogni
giovedì l’avrebbe porto alla ragazza chiedendole di
gradire il piccolo dono.
Lei sommessamente lo
avrebbe stretto sul suo seno odorando il delicato
profumo. Bell come suo solito si sarebbe sorpreso ad
ammirare il magico contrasto con la vestaglia verde
mela.
La Signorina Peterson aveva compiuto da
poco 19 anni ed era ormai una vera donna, ma per
fortuna di Bell, aveva mantenuto intatti i suoi
lineamenti adolescenziali.
Il Signor Bell che
era un gentiluomo si domandava per quanto ancora
avrebbe potuto gustare quella bellezza innocente. Si
lasciava ammaliare ogni volta dall’ingenuità del
movimento delle sue labbra voluttuose perfettamente
disegnate al centro di un ovale ancora infantile.
Rimaneva estasiato da quella perfezione ed
ogni volta quasi automaticamente il suo pensiero
andava alla figlia quindicenne della Signora Quenn,
la lavandaia del paese. Era bella sì ed anche molto
attraente, ma non poteva esimersi a non biasimare la
sciatteria nel modo di vestire e la goffaggine nei
movimenti della ragazza. Si riprometteva di parlarne
con sua madre. Bell era un gentiluomo e stava
pensando seriamente di farla entrare nel suo giro
settimanale. Visto il suo stato sociale di
studentessa e figlia di lavandaia sicuramente non
avrebbe perso tanto tempo a convincerla. Col tempo
poi l’avrebbe educata ai desideri degli uomini
maturi che preferivano di gran lunga l’innocenza e
la malizia alla volgarità sfrontata. L’unico
problema a suo parere sarebbe stato quello di
trovare un buco nella settimana o, come ormai
pensava da mesi, di sostituire la signora
Livingstone e dare il compito del Martedì alla
figlia della Queen. Bell scuoteva di nuovo la testa,
non era assolutamente facile sostituire il gusto e
la raffinatezza del Signora Livingstone. I suoi
guanti di pizzo erano a dir poco meravigliosi.
Assorto nei suoi pensieri entrò nell’androne
alle 11,15 circa, salì la rampa di scale salutando
distrattamente la portiera. Quest’ultima come ogni
giovedì si lasciava andare ad un caloroso e
ammiccante buongiorno in segno di riconoscenza verso
il Signor Bell che ogni Natale era così gentile da
regalarle piccole trousse, rosso fiammanti a forma
di cuore, di fattura autentica cinese, comprate ai
grandi magazzini.
Arrivato al piano Bell
attese qualche secondo per riprendere fiato.
Dopodiché bussò delicatamente alla porta della
Signorina Peterson. Come al solito aprì sua madre
che sciorinò smielati convenevoli di interessata
cortesia.
“Signor Bell benarrivato! La trovo
davvero in forma questa mattina. Diane la sta
aspettando. Sa, questa mattina per l’emozione
dell’attesa si è destata alla cinque! E per tutta la
settimana non ha fatto altro che chiedermi di lei!”
Disse mentre accoglieva tra le sue braccia il
cappello, il paltò, il pacco delle fatture e
l’immancabile ombrello.
Chiaramente quel
comportamento così forzato indispettiva non poco il
Signor Bell che cercava immediatamente di guadagnare
la stanza da pranzo intrattenendosi in ingresso solo
il necessario dettato dall’educazione.
La
figlia era già seduta in attesa sul salotto buono
della stanza degli ospiti. Il Signor Bell, che era
un gentiluomo, si inchinò al cospetto di tanta
bellezza porgendole il tulipano rosso. Il bianco
etereo di un reggicalze bene in vista, adagiato
fintamente a caso, risaltava sulla tovaglia
damascata rosso porpora.
Bell ogni volta doveva
riconoscere che la Signora Peterson sapeva far bene
il proprio lavoro. Preparava la figlia senza
tralasciare nulla al piacere degli occhi. Del resto,
essendo separata e senza reddito fisso, si era
inventata dal nulla questa fonte di sopravvivenza.
Bell naturalmente aveva fatto delle indagini
personali accertando dopo vari appostamenti di non
essere la sola persona che bussava a quella porta
anche se, non avendo la certezza assoluta, gli
rimaneva il forte dubbio che gli altri ospiti
fossero legati alla Signorina Peterson da qualche
grado di parentela o di amicizia. Questo chiaramente
avrebbe reso inutili i suoi sospetti. Mai comunque
gli vennero altrettanti dubbi che le frequenti
visite avessero come oggetto di desiderio la madre
della Signorina Peterson. Si era ripromesso
nell’occasione del Santo Natale di regalare alla
portiera dello stabile ben due trousse rosso
fiammanti a forma di cuore.
La Signorina
Peterson rimaneva qualche secondo a fissare il suo
ospite, maliziosamente imbambolata, prima di
afferrare con sole due dita l’incantevole
reggicalze. Con grazia studiata lo teneva in sospeso
per qualche istante cullando le stringhe in un
leggero dondolio quasi ipnotico.
Bell ogni volta
si rapiva alla vista di quella grazia pensando ad un
solitario gabbiano volteggiante nel cielo. Pochi
secondi ancora e quel gabbiano sarebbe planato
magicamente a raso di quella pelle bianca fino a
stringere i graziosi fianchi in attesa.
A quel
punto la Signorina Peterson, come concordato,
iniziava il racconto del suo ultimo sogno nella
penombra di una lampada a stelo accompagnando le
prime parole con un leggero schiudersi della bocca
“simile ad un bocciolo di rosa al primo sole di
maggio”. Pensò spontaneamente Bell. Adorava queste
similitudini e si ripromise di copiarla sul suo
quadernino nero non appena fosse rientrato in
ufficio.
Da quel momento in poi e per nessun
motivo al mondo la Signorina Peterson, in segno di
reverenza e nel rispetto dell’età di entrambi,
avrebbe più guardato in faccia il suo interlocutore.
Iniziava i suoi racconti scegliendo attentamente
parole dal suono musicale e melodioso. Bell ogni
volta aveva la netta sensazione che fossero
rivisitazioni di brani di poesie celtiche imparate a
memoria.
La Signorina Peterson non aveva
frequentato le scuole superiori e Bell ogni volta
rimaneva stupito da quelle minuziose descrizioni e
da quel linguaggio altamente evocativo, ma mai
declamatorio.
Raccontava delicatamente i
dettagli del sogno, dove loro due, amanti e
complici, si ritrovavano uniti ed abbandonati al
segreto desiderio. Erano storie impalpabili senza
tempo e senza luoghi. Lui vestito da cavaliere, lei
da principessa in un aulico medievaleggiante ed
onirico contesto indefinito. Sulle rive di un lago,
su prati verdeggianti o sulle sponde di un fiume i
due felici si abbandonavano nel rispetto dei loro
ruoli lungo lo scorrere di dolci e fresche acque.
Erano contatti di labbra, di sesso e di pelle senza
mai avere la sgradevole sensazione fisica, quasi
come se le parole stesse fossero fatte solo di
vapore e senza contenuto.
Il Signor Bell
rimaneva inebetito di fronte a tutta quella
delicatezza, del dire e non dire, del fare e non
fare, del vedere e non vedere. Si domandava ogni
volta se la Signorina Peterson avesse mai provato
lontanamente quelle situazioni e se e quando avesse
già fatto l’amore. Ogni volta concludeva convinto
che quelle pause profonde erano frutto di una
verginità ancora preziosa e di passioni travolgenti
inesplose.
Per nessuno motivo avrebbe mai voluto
approfondire la questione, in quanto considerava la
certezza alla stessa stregua di un amore consumato,
l’amplesso assassino che uccide un desiderio. E lui,
distante tre metri da quella conchiglia, se ne
sarebbe andato, come ogni volta, con il desiderio
intatto d’essere una perla.
Stringeva con
gli occhi quella seta e l’ascoltava. Ascoltava quel
movimento di labbra, quel sottilissimo schiudersi
che emetteva ed aspirava quel leggero suono. C’era
lui dentro quelle parole, c’era lui dentro quei
chiari scuri innocenti di seta, di giochi e di luci.
Lui amante che bagnava con gocce di rugiada quel
fiore schiuso, lui compagno di un sogno che apriva
le gambe con un soffio più caldo. Era sempre lui tra
le dune sabbiose d’un desiderio imminente che
spalancava le voglie bagnate d’una giovinetta
lasciva e peccaminosa.
Ed era lei con un cenno
di dita ad indicargli il cammino scosceso, ripido a
picco senza ritorno, senza un sostegno, un appiglio
per pensarci di nuovo.
Durante quelle effusioni
verbali si domandava quanto davvero avrebbe voluto
toccarla, accarezzare il bordo di quelle labbra
perfette, di quel rigonfio di tette semi coperte a
modo dalla vestaglia verde mela. Quanto di lui ci
fosse dentro quelle ciabatte rosa, lungo le gambe
che risaliva oltre il ginocchio dentro un’intimità
che non aveva mai visto.
La Signorina
Peterson rallentava ad arte le ultime parole del
racconto, ombrando gli ultimi dettagli della fine
del sogno fino ad interrompersi di colpo.
Il
reggicalze magicamente era tornato al suo posto
adagiato sopra la tovaglia damascata. Bell, preso
dal racconto, si domandava ogni volta come mai fosse
di nuovo in quella posizione nonostante, per tutto
il tempo, non l’avesse mai perso di vista.
Alle dieci e quaranta il suo sogno era sazio,
proprio nel momento in cui la Signora Peterson,
spaccando il secondo, rientrava in salotto e serviva
su un grosso vassoio d’argento d’imitazione
portoghese un grappolo di cioccolatini alla fragola
e miele della Jordans.
Il Signor Bell che era un
gentiluomo non avrebbe mai approfittato di tutta
quella buona creanza. Accettava un solo
cioccolatino, scartandolo delicatamente, nella
speranza che contenesse una delle sue tante frasi
d’amore. Purtroppo mai finora era riuscito a
condividere quella leggera soddisfazione e con un
impercettibile dispiacere tirava fuori dalla tasca
il dovuto molto generoso nascondendolo con cura
sotto il vassoio d’argento.
Era una spesa
sicuramente più esosa rispetto a quella del lunedì
con le liceali, ma lui non se ne dava cura. In quel
momento pensava soltanto a Molly, la immaginava sola
nella sua stanza con lo sguardo fisso contro il
soffitto ingiallito. E poi aveva cospicue risorse
per durare a lungo, perché la Signorina Peterson gli
raccontasse altri sogni e sua madre le facesse
trovare un altro reggicalze bianco usato soltanto
nel sogno.
Alle dieci e quarantacinque il
reggicalze era già scomparso nella tasca destra
della sua giacca e come ogni giovedì il Signor Bell
s’accomiatava con una discreta fretta, mentre la
Signora Peterson si lasciava andare alle solite
smielate cerimonie non prima di essersi assicurata
un’altra visita per la settimana successiva.
Scendeva le scale con una leggera ruga lungo
l’angolo destro della bocca pensando a quanto
potesse ancora durare quella studiata innocenza
della Signorina Peterson. Ormai aveva diciannove
anni, troppi per nutrire soddisfazioni alimentate
dalla malizia.
Purtroppo gli appostamenti sotto
casa davano forza smisurata ai suoi dubbi. Era
proprio giunto il momento di mettersi alla ricerca
di un’adolescente ancora inesperta. Sì sì, doveva
proprio fermare la figlia della lavandaia salvando
così la signora Livingstone al Martedì!
Si
chiedeva già come stabilire il primo contatto con la
figlia della signora Queen. Mai avrebbe importunato
la ragazzina. Quindi non gli rimaneva che sfidare la
moglie portando lui stesso la biancheria da lavare
alla Signora Quenn. Ora il problema si spostava su
come giustificare a Catherine quell’insolita
stravaganza. Del resto non aveva mai messo piede in
quel negozio in quanto non lo aveva mai ritenuto un
luogo per uomini di un certo livello sociale.
Il resto poi non gli dava pensiero. La Signora
Quenn non versava in acque floride, aveva
addirittura sentito parlare di una chiusura
imminente dell’attività. Quindi a suo modo di
pensare mai e poi mai avrebbe rifiutato una sua
qualche proposta dove il lato economico aveva una
sua cospicua importanza. Ad ogni modo si sarebbe
prima informato dalla Signora Livingstone per
conoscere esattamente le condizioni della lavandaia
e poi agito di conseguenza.
Già gustava la
Signorina Quenn vestita a suo gusto, magari con una
vestaglia semi trasparente dove ammiccavano un paio
di mele ancora acerbe ed un frutto più sostanzioso
tra le sue gambe non ancora tornite.
Sapeva già
che l’intesa non sarebbe stato un problema di poco
conto, ma ai primi incontri gli sarebbe bastato
vedere impercettibili progressi, frutto senz’altro
della buona volontà da parte della ragazza.
Bell cercò di scacciare questi pensieri mentre
percorreva in punta di piedi lungo il muro il
pavimento bagnato dell’androne sotto l’occhio
vigile, ma compiacente della portiera.
“Buona
giornata!” Immancabile il saluto della donna intenta
a ribadire la sua presenza per il prossimo Natale.
Alle dieci e cinquanta il Signor Bell
attraversava il cortile tra la biancheria stesa e i
sacchi dell’immondizia accatastati contro il muro di
recinzione, in tempo per fare tranquillamente il
tragitto di ritorno al riparo da qualsiasi
contrattempo.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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