Lungo il fiume
Lungo il fiume si
riflettono verande di legno marcio di bettole
fatiscenti a palafitta nell’acqua. Se ci vai con gli
occhi da turista vedrai topi e ragni che si
contendono carne prelibata di zanzare morenti.
Vedrai rughe di uomini giovani cotte dalla fatica e
dal sole. Se ci vai da turista ti passa la fame al
solo sentire l’odore che sale dal fiume o che esce
denso da quelle cucine.
Ti prego lasciati
condurre verso quel fiume dove sciamano barche e
scorre la vita che apparentemente non ha un verso,
una direzione, dove s’accavallano voci e stridono
urla che anche per uno del posto è arduo capire.
Se hai voglia davvero di risalire alla sorgente del
mio infinito bene, se davvero hai voglia di
conoscere da dove proviene il gusto dei miei baci,
allora lasciati andare, ti prenderò per mano e
dall’altra tua moglie, perché io sono fatta di
quest’acqua di fiume, di fango e palude, sono solo
un enorme insetto nato alle spalle di questa foresta
che bacia bene, ma ama come tutti gli abitanti di
questo fiume.
Tua moglie è troppo occidentale
per capire, ma io la amo anche per questo. Si
rifiuterà di venire, di capire, e mai comprenderebbe
come hai fatto a sentirti maschio dentro la mia
carne.
T’ho visto sai quando sei entrato, i
tuoi occhi hanno assunto un colore indefinito, le
tue labbra la forma di voglia, ma anche tu eri
sorpreso, quasi quasi non credevi che potesse
succedere.
“Ora, mi credi vero?” Ti ho detto.
Perché noi siamo così. Noi abbiamo il potere sulle
cose. E non serve una puttana per questo, qualunque
ragazza di Saigon sente oltre i sensi e pigia i
tasti giusti affinché la musica mai s’interrompa.
“Mi capisci vero?”
Ma tu rimanevi incredulo. Hai
riso pensando alle tante volte fallite. Hai riso
pensando all’ultima volta buona. Ma non te la
ricordavi. Erano passati troppi anni.
Hai riso,
ed io era piena di te, piena di gioia.
Il contadino Hong Ti
Il
giorno dopo siamo andati a fare una scampagnata
lungo le rive del Mekong verso Cao Tho. Ricordi? Tu
guidavi la Jeep dell’esercito francese, io e tua
moglie eravamo appollaiate sui sedili posteriori
sballottate dalle buche e dal terreno non asfaltato.
Il vento faceva svolazzare i lembi delle nostre
gonne. Tu portavi un cappello di paglia, gli
occhiali da sole e un vestito bianco. Oddio come eri
bello! Tua moglie rideva e tu non eri triste. Mi
sono sentita bene sai.
Ai bordi della strada
sterrata c’erano uomini e donne che ci salutavano
contenti. Dio quanto era ospitale quella gente!
Quando siamo arrivati nella zona dei villaggi
sull’acqua abbiamo dovuto lasciare la macchina.
Abbiamo proseguito a piedi, i nostri tacchi
affondavano completamente nel fango di distese di
riso.
Il contadino Hong Ti ci ha accolto
lungo la strada. Era un tuo amico e fu contento di
vederti. Mi hai presentato come tua amica, ho notato
il tuo imbarazzo.
Lì era tutto tranquillo, la
guerra non era ancora arrivata. Siamo passati in
mezzo a piante di zucchine e lattuga rigogliose.
Hong era fiero dei suoi campi di ortaggi.
Aveva già fatto preparare il pranzo. Mangiammo tutti
e quattro all’ombra di una incannucciata al riparo
di mosche e zanzare. La moglie di Hong aveva
cucinato delle gustose polpette di fiocchi di riso e
una crostata di scarola e asparagi.
Dio come ero
contenta! Sembravamo una famiglia felice, mi pareva
di avervi conosciuto da sempre.
Dopo pranzo
la moglie di Hong ci aveva preparato due stanze
accoglienti per riposare, ma tu hai voluto che
anch’io venissi nella vostra. Tua moglie
naturalmente fu felice. Appena entrati mi avete
abbracciata insieme. Ero lì in mezzo a voi due, dove
da sempre sarei voluta stare.
Hai chiuso la
porta ed io ho chiuso gli occhi sperando che quei
momenti durassero per sempre.
Ancora ricordo
l’emozione su quel letto. Tu eri con la sola camicia
indosso, lei aveva appeso il suo vestito su un
chiodo ed era rimasta in reggiseno e mutandine.
Sentivo i suoi brividi caldi sfiorarmi, ma sono
rimasta immobile. Stavo tra voi due! E non chiedevo
altro.
Tu consultavi una mappa. Tua moglie
fumava. Ma tra di voi non c’era il solito vuoto.
Finalmente ero riuscita a riempirlo. Addirittura vi
siete parlati e per me era già molto. Lei ti ha
chiesto quando saresti ripartito. Tu le hai risposto
che avresti voluto evitare la missione. Troppo
pericoloso!
Con una voce nuova ci hai
spiegato che lì infuriava la battaglia tra le truppe
Viet Minh comandate dal generale Vo Nguyen Giap e le
truppe francesi dei paracadutisti e della Legione
straniera.
Si parlava di una grossa offensiva
dell’esercito francese che aveva paracadutato sulla
zona novemila uomini in meno di tre giorni. I
comunisti colti di sorpresa avevano vacillato, ma
grazie a dei missili russi avevano iniziato a
colpire le basi aeree francesi con un bombardamento
incessante.
Eri preoccupato. Con un gesto
spontaneo ti ho stretto la mano. Tua moglie se ne è
accorta, ma capiva che in quel momento avevi bisogno
di affetto. Non c’era sesso e mai il minimo dubbio
l’avrebbe sfiorata. Si unì a noi accarezzandomi i
capelli.
Baciò il mio profilo, tu sei
rimasto a guardarci. Ma non andò oltre nonostante il
mio abbandono. Dio sa quanto avrei voluto in quel
momento vedervi distesi supini, adagiarmi sui vostri
corpi e sfiorarvi contemporaneamente con i miei seni
duri.
E’ inutile dirti che quel pomeriggio
rimarrà scolpito nel mio cuore per sempre.
Quattro mesi dopo
Passarono quattro mesi da quella volta e nonostante
i miei sforzi tutto era rimasto come prima, tutto
immobile come il mare di Saigon quando lo guardo dal
porto.
Mi ero illusa di portare pace, amore,
invece c’era soltanto guerra. Già la guerra quella
che spara ed ammazza oramai era alle porte della
città. La vita di ogni giorno era sempre più
complicata, ed io ormai mi rifiutavo di capire.
C’erano francesi dappertutto e poi inglesi, qualche
americano e bombe che esplodevano senza un nome, un
motivo, pallottole che vagavano in attesa che
qualcuno uscisse di casa.
Oramai non c’era
più niente, anche la guerra era senza padrone. Mio
fratello era stato ferito dentro il suo taxi, ma io
non sapevo con chi prendermela. Ho pregato il Cielo
con tutta me stessa. Dopo giorni e giorni di agonia
inspiegabilmente si è ripreso, ha perso solo un
occhio ed io ho ringraziato Dio.
Mi chiedevo se
davvero c’era un bene futuro che giustificava quel
dolore. Nella mia ingenuità ripetevo che se
veramente avessi dovuto fare una guerra l’avrei
fatta contro la fame, le zanzare, contro la miseria
che trasformava gli uomini in bestie e le donne in
puttane.
Io ero con tua moglie, nel quartiere
francese, bello e ricco e non dovevo temere nulla.
Ogni tanto qualche boato, ma era sempre lontano
nella zona dei villaggi, perché questa guerra
aggiunge miseria a miseria e difficilmente si fa
vedere da queste parti.
Solo qualche disagio
sopportabile, usavamo lampade a petrolio e mancava
ogni tanto l’acqua.
Avevo soltanto un pensiero
invadente. Tu eri di nuovo al fronte, perché il
console ti aveva dato comunque l’incarico di capire
cosa stava succedendo oltre le linee francesi che
per noi era deserto.
Erano tre mesi che
mancavi ed io ero lì ovattata e incosciente,
convinta ancora di amarvi entrambi. Capiscimi, non
vi amavo ad uno ad uno, ma insieme, uno
indispensabile all’altro, tanto che se uno dei due
fosse mancato non avrei più provato nulla per
l’altro!
No, non credere che abbia avuto
qualche preferenza, amavo la somma di vuoi due e per
me eravate uguali perché ognuno dei due creava il
totale.
Provavo amore, immenso amore, come mai
un singolo essere era riuscito a farmi sentire.
Provavo dolore perché non c’eri e non davi notizie,
perché non riuscivo a donarmi per intero a tua
moglie.
Tua moglie, quando arrivò la lettera di
missione del console, ti aveva di nuovo rimproverato
di aver non aver fatto nulla per evitarla. Tu sei
andato via sbattendo la porta.
Dopo la
scampagnata a Cao Tho avvertivo che tra voi due era
nata una sottile rivalità. Non avevate capito
proprio niente del mio amore! Ed io mi sono presa
tutte le colpe. Invece di portare armonia avevo
portato l’odio, invece di amore solo gelosie e
litigi, ma nonostante ciò, ero ostinata e credevo
con tutta me stessa che il tempo mi avrebbe dato una
mano.
Io e te, dopo la sera in veranda
avevamo tentato un’altra decina di volte, ma
inutilmente. Andavamo in una bettola lungo il fiume.
Era diventata il nostro rifugio segreto.
La sera
invece era dedicata a tua moglie, nascoste nel
bagno, ma lei non era mai contenta e iniziava a
sospettare qualcosa, di te, del tenente francese, di
qualsiasi uomo che entrasse nel suo campo visivo.
Lei non era convinta perché il sapore del mio
sesso, quello che sgorga dal cuore, sapeva di voglia
appagata, il mio seno di salive e passioni che ti
ritornano nel naso e ti disgustano dopo l’amore.
Faceva domande e rimanevo muta, perché l’ultima
bugia che ho detto ancora la ricordo. Mi sospirava
puttana dentro l’orecchio e dentro la bocca e
qualcosa di me si ritorceva ogni volta come budella
che invano cercano di non cedere al veleno.
Me lo sospirava sopra i capelli lungo la curva della
mia schiena, ma davvero lo ero, lo sono?
Come
potevo dirle che la forma di sesso di maschio che
desideravo aveva quella di suo marito. Non avrebbe
mai creduto che sopra quella veranda mi avevi
scopato prendendomi la gioia infinita di sentirti
più grande, più uomo tra le mie gambe.
Come avrei
potuto dirle che sopra quel pavimento di legno
marcio, tra topi e zanzare, mi fottevi il sogno
d’essere presa di nuovo, mi fottevi la voglia che
rimaneva penosamente intatta.
Per lei sarebbe
stato un duro colpo sapere che ero innamorata pazza
di un uomo che non mi portava all’orgasmo e che
nonostante ciò mi sentivo appagata dal ricordo
dell’unica volta in terrazza. Dio quella volta!
Non ci avrebbe mai creduto perché per lei era
soltanto un eunuco, che al massimo poteva riempirmi
di poesie e parole. Ma la sua gelosia andava oltre
quando mi leccava e piangeva facendomi ogni volta
giurare che non era successo, che nessun amore
francese mi riempiva furtivamente di notte.
Poi
piano piano si convinceva ed era amore vero. Mi
prometteva che m’avrebbe portato a Dublino, che
m’avrebbe fatto vestire da occidentale, tagliato i
capelli e truccata per essere sua anche davanti allo
specchio.
E rideva e succhiava per aspirare
l’essenza e togliermi l’anima per lei indipendente,
troppo indipendente, che minacciava la sua richiesta
di bene, il suo sentirsi padrona tra le mie cosce.
Mi faceva indossare calze di seta e reggiseni
ripieni per gonfiarmi le tette. Vestiti scollati e
scarpe bianche per passeggiare lungo le vie fangose
del mercato. Desiderava che ogni uomo, ogni
straccione, ogni mercante arricchito con la guerra,
si perdesse nel mio seno fintamente grande.
Voleva che diventassi una sfida, una minaccia per
tutti quegli occhi che m’avrebbero divorata, per poi
pensare che ero sua, soltanto sua. Ogni giorno una
richiesta più audace perché ormai era una continua
sfida con se stessa, con quel diritto inalienabile
che è il possesso.
Quei
nove biglietti
Dalla guerra ci arrivavano
notizie di immense stragi di soldati e civili. Il
sangue scorreva a fiotti e molti francesi venivano
catturati e morivano in seguito di infezioni e
malattie.
Tu non mandavi notizie. Dio che
angoscia! E noi ogni giorno ci aggrappavamo ai seni
dell’altra, li ciucciavamo per bere il nutrimento di
non sentirci più sole, per riappropriarci della
forza che scemava ogni giorno.
Lì ho capito che
ti amava, che ti voleva bene nonostante la sua
ostinazione. Aveva cambiato modo di fare l’amore,
niente più donna padrona appoggiata alla spalliera
del letto, niente più fumo e stivali. Era un amore
alla pari. Ognuna in cerca dell’altra per dare amore
senza pensare di riceverlo in cambio. Contenta
scivolavo con la mia bocca lungo il suo corpo tra le
lenzuola, felice scivolava con la sua lingua tra le
mie cosce...
Ormai lo facevamo dappertutto,
in ogni posto possibile, in ogni ora del giorno. Era
un’urgenza indispensabile quasi vitale. Era un
attimo, riconoscevo quell’attimo quando i suoi occhi
rimanevano fissi scollegati dalla testa e stampando
un sorriso sulle labbra vogliose.
S’inginocchiava
e m’alzava il vestito e voleva assolutamente
impregnarsi del mio odore, bagnarsi il naso, le
orecchie i capelli della mia voglia. Lei come donna,
io come uomo, in piedi come quando si piscia o
quando a pagamento si sceglie l’amore veloce. In
piedi mentre guardavo il cielo avaro di nubi fino a
che il piacere calava le mie palpebre e lei stremava
per terra.
Ogni tanto mi fermavo a guardarla,
a riflettere, era troppo forte il suo attaccamento,
troppo intensa la voglia di consumarci e di non
pensare a cosa sarebbe stato di noi.
Non sapevo
quanto ancora sarebbe durato, se fosse solo una
questione di giorni e poi sarei tornata alla Maison
Rouge.
Se tu m’avessi interrogata il primo
giorno mai avrei pensato di innamorarmi di una
donna, ma sarei rimasta a guardare il cielo terso
mentre con il rossetto mi inumidiva la voglia.
Se
tu davvero me lo avessi chiesto, mai avrei pensato
di penare per un uomo che mi aveva appagata soltanto
dal desiderio di esserlo.
Tu non tornavi, e
i viveri stavano scarseggiando. Le notizie dal
fronte incrementavano ogni giorno il numero dei
morti in migliaia. La sera cenavamo in silenzio, il
giorno rimanevamo chiuse in casa, le Moulin Blanc
non ci faceva più credito.
Mia cugina Hong era
tornata a lavare i piatti nelle bettole lungo il
fiume. Gli aerei erano sempre più pieni di europei
che tornavano in patria, rimanevano soltanto
soldati, rimaneva solo la guerra.
Mi
chiedevo se fosse giusto aspettarti. Tua moglie mi
rassicurava dicendomi che altre volte era successo,
ma io avevo paura, avevo un presagio che quella
prima e ultima volta fosse stata l’ultima davvero.
Cercavo di fissarla in mente, di ricordarmi ogni
attimo, ogni goccia del nostro sudore che copioso
colava lungo i nostri corpi incollati. Ogni tua
parola la ripetevo per ricordarmene il sapore.
“Hai ancora nove biglietti vero?”
Eh già, erano
tutti lì ad aspettarti. Sopra quel pavimento marcio,
contro quelle scatole piene di viveri
all’ambasciata… non ne avevi staccato nemmeno uno!
La tana di lucertola
Ogni tanto andavamo a pranzo da mia madre. Ero
stata costretta e mi ero fatta forza sfidando la
paura e la vergogna. Speravo che mia madre mai
avesse capito, in fin dei conti lei era la moglie
del mio amante ed eravamo rimaste sole.
Ma lei
non capiva, come non riusciva a darsi pace che da
mesi non prendevo il mio compenso. Chissà se mia
sorella aveva intuito qualcosa.
Ormai parlavamo
sussurrando, piano piano per amarci più forte, per
sentire tutta la ricchezza di quella complicità che
ci faceva sopravvivere, perché non avevamo altro
davvero.
Sarei potuta tornare alla Maison
Rouge, ad essere ballerina a tariffa, mi avrebbero
accolto a braccia aperte, il padrone cinese non
aspettava altro. Ma lei non voleva, mai e poi mai
avrebbe rinunciato a me, a quel contatto di mani, di
occhi, a quel succhiarci il seno in ogni istante
della giornata. Veramente non mi sono nemmeno
azzardata a chiederglielo, mi basta guardarla per
sentire chiara, forte e sdegnata la sua risposta.
Ero preoccupata per te e lei mi consolava come
se io fossi stata tua moglie. Avevo paura veramente
di diventare vedova!
Passavano i giorni e
qualcuno era più lungo, interminabile. Avevamo
venduto i suoi vestiti più belli ad una signora
francese. Ma era poco e niente, ci sarebbero bastati
giusto per qualche settimana.
Da Dublino non
arriva nulla. Tua suocera diceva di aver spedito
mille sterline. Ogni giorno andavamo all’ufficio
postale ma niente.
Stavo davvero vivendo un sogno
al contrario, in quel momento il vuoto che sentivo
era troppo grande per poterlo riempire, ed io che
non ero stata capace nemmeno di riempire quello fra
voi due, che al confronto era piccolo quanto una
tana di lucertola.
“Che Dio mi dia la forza!”
Mi ripetevo quando il cielo s’imbruniva al tramonto.
“La forza di continuare a credere che tra poco
tornerai, che almeno ti farai vivo, che morto non
servi a niente, non servi a me, non servi a lei, non
servi a raccontare la guerra.”
Ma tu non
tornavi.