LA GEMELLA JASMINE
Dicevamo, alcuni anni dopo Jasmine, la gemella di Susan, venne a stare
qualche mese alle Fonderie. Le due si assomigliavano in una maniera
spaventosa, praticamente due gocce d’acqua, ma in passato Jasmine, al
contrario della sorella, non aveva frequentato bettole di malaffare e non
aveva ballato il flamenco. Camilo, nel corso di quei mesi, si era
domandato spesso se non fosse stata Jasmine la donna del destino e come
sarebbe stato l’amore con lei.
Concludeva il ragionamento chiedendosi se quel giorno di Natale nella
locanda avesse fatto la scelta giusta e se ora, a mente fredda, ne fosse
ancora innamorato, ma sicuramente allora come ora era stato rapito da
quella sensualità che, per via anche del suo blocco psicologico, ancora
oggi rimaneva intatta e straripante.
L’idea dello scambio di persona, a causa del destino beffardo, rimbalzò
nella sua mente. Una sera che Susan si coricò presto per via di una forte
indisposizione, Camilo durante il dopo cena in terrazza mise al corrente
la gemella dei suoi problemi avanzando delicatamente i suoi dubbi sullo
scambio di persona.
Dopo qualche altro bicchiere di buon vino rosso andaluso avanzò sottovoce
la sua proposta. Per dire il vero farfugliò qualche frase spezzata, ma il
concetto era chiaro: l’unico modo per vanificare ogni dubbio sarebbe stato
quello di concedersi entrambi ad una prova d’amore e constatare l’effetto
che avrebbe sortito nelle regioni basse di Camilo.
Poi sì certo, parlò anche del destino e di certi racconti medievali nelle
cui storie la felicità raggiunta non coincideva spesso con l’etica comune.
Alle sue orecchie non era certamente una giustificazione, ma un modo per
avvalorare la sua tesi nella convinzione che alle volte il destino
occorre, se non proprio contrastarlo, almeno beffarlo.
Jasmine dapprima fece finta di non capire poi, sollecitata, rassicurò il
cognato dicendogli che ci avrebbe pensato quella notte stessa.
Lei era al corrente dei loro problemi per cui l’idea non le sembrò
completamente strampalata, anzi considerava una sorta di missione
concedere le sue grazie al cognato per verificare quanto il destino a suo
tempo avesse sbagliato o meno ed in caso contribuire affinché tutto
tornasse nel giusto posto.
Camilo si sentì sollevato. In effetti le due donne si somigliavano come
gocce d’acqua e nessuno mai avrebbe notato lo scambio. L’unica noia
sarebbe stata lo scambio di nomi, se avesse accettato, per tutta la vita,
avrebbe dovuto cambiare il nome in Susan. Del resto Jasmine era single e
accettando avrebbe cambiato radicalmente la sua posizione visto che,
diplomata in cucito e nel merletto a tombolo, per mantenersi gestiva
attualmente una piccola lavanderia nella periferia di Siviglia. Susan dal
suo canto avrebbe riacquistato l’agognata libertà, mantenuto il suo
attuale stato di benessere e soprattutto per incanto sarebbe tornata
single.
Come ultima raccomandazione Camilo fece promettere a Jasmine di non dire
nulla. Qualsiasi fosse stata la sua decisione, sua moglie al momento non
doveva essere messa al corrente di quel disegno.
Passò la notte ed anche il giorno dopo durante il quale Jasmine evitò di
incontrare suo cognato. Parlò con sua sorella sondando velatamente il
terreno e si convinse che Susan non sarebbe stata contraria a rimettere in
sesto il destino. “Vorrei tanto aiutarti!” Disse Jasmine ma ci mise così
tanta enfasi che la frase girò più volte nella mente di Susan.
Venne la sera e Susan, per via della solita indisposizione o perché aveva
fiutato il piano, non si presentò a tavola preferendo una cena a base di
verdure e ceci nella sua stanza.
Davanti ad una bottiglia rossa di Madera Camilo attese con ansia la
risposta di Jasmine. Anche se in cuor suo aveva già intuito. La bella
cognata si era presentata a cena sfoggiando la sua migliore mise con un
vestito longuette di raso nero stretto in vita e un ampio decolté che
risaltava la collana di onice nero e il suo presente molto generoso. I
capelli raccolti e un velo di trucco le davano un’aria da signora degna di
essere nel più breve tempo possibile la consorte del titolare delle
Fonderie Saviola Duarte.
Durante la cena l’argomento non venne minimamente sfiorato. Lei parlò
della sua infanzia, dei suoi amori e dei continui fallimenti, lui dei suoi
progetti futuri e purtroppo della mancanza dell’erede. Poi al dunque lei
non si fece trovare impreparata. La prese un po’ alla lontana, ma il succo
del suo discorso fu che per il bene di Susan avrebbe fatto qualsiasi cosa.
“Se il destino a suo tempo avesse davvero sbagliato persona era giusto e
doveroso porvi rimedio.” Ovviamente tenne a precisare che non considerava
la proposta del cognato come un atto dovuto, ma l’accoglieva con immenso
piacere nei limiti della considerazione ricevuta.
Dolce musica per Camilo. Ma l’approvazione di Jasmine era solo il primo
atto. Ora bisognava passare alle vie di fatto. Se la prova fosse andata a
buon fine nulla e nessuno avrebbe potuto ostacolare quell’idillio.
Jasmine avrebbe preferito consumare la prova nei giorni successivi e in un
luogo lontano mille miglia da quella casa e quindi da sua sorella. Di
temperamento romantico si lasciò andare immaginando una casa davanti ad un
lago o una pensioncina per vacanze termali frequentata da aristocratici.
Tutto ciò fu però solo un vano desiderio, del resto non aveva fatto i
conti con l’impazienza di Camilo.
Con un gesto elegante lui si alzò. I capelli lucidi di brillantina, il
vestino nero gessato bianco, il foulard rosso sangue e la camicia bianca
davano alla sua figura un aspetto carismatico. Con un movimento plastico
fece il giro della tavola, accennò un breve inchino e le porse il braccio.
Jasmine rimase esterrefatta e non le rimase altro che acconsentire. Come
fosse un pavimento di nuvole fecero quattro passi lungo il corridoio,
passarono davanti alla porta chiusa della stanza di Susan per poi
ritrovarsi affacciati alla finestra della stanza degli ospiti al primo
piano.
L’incanto della luna, gli effetti del Madera rosso ed un ululato distante
di lupa in amore sgretolò le ultime difese della bella Jasmine. Camilo
dietro di lei la strinse a sé, lei ebbe modo di apprezzare la sua passione
cocente. Lui la baciò, dapprima sul collo lungo da cigno, e poi,
scivolando lentamente la spallina del vestito, su quel seno dal sapore
grasso di grano. Rimasero aggrapparti alla coda della luna, alla magia
della notte per un tempo infinito per poi adagiarsi frementi di desiderio
sul letto in attesa.
La voglia di Camilo, dura come la pietra, trasbordò dai pantaloni,
impaziente cercò la fonte di quel piacere già pronta ed ospitale. Jasmine
lo accolse come il destino, come un fiore al primo raggio di primavera e
nonostante i suoi dubbi lo sentì maschio ed un urlo inaspettato sancì
quell’amplesso. Durante quell’atto pensò perfino che Camilo si fosse
inventato tutto per il solo gusto di tradire la moglie con un’altra donna
identica a lei. Pensò che fosse davvero un blocco psicologico e si vantò
di essere la medicina giusta per suo cognato. Urlò di nuovo e pensò anche
altro, ma soprattutto alla lunga notte di piacere che l’attendeva.
Lui la baciò, la strinse, da uomo forte, con una facilità sconvolgente, la
voltò come fosse una piuma, poi la baciò ancora, poi affondò di nuovo
naufragando in quel mare di voglie, s’inabissò, nuotò, tornò a galla,
impetuoso come un’onda gridò, giurò d’amarla per sempre… ma la scure del
tempo era lì pronta e vigile e allo scadere dei 21 secondi si schiantò,
come un battello contro gli scogli, sui propositi di lui e gli ardori di
lei.
Tentarono di nuovo e più volte. Ricominciarono, andarono indietro fino
alla coda della luna, fino al Madera rosso, ma niente. Purtroppo Jasmine
non era esperta e rodata come la sorella per cui lui desistette da ogni
altro tentativo. Rimasero in silenzio, si guardarono negli occhi sconfitti
e delusi, finché lui raccolse i suoi vestiti adagiati sulla sedia ed uscì.
Camilo era troppo orgoglioso per addossarsi le colpe di quel fallimento.
La mattina seguente si diede dello scemo e dell’incauto avendo provato le
sue potenzialità con una donna troppo identica a sua moglie. Si convinse
comunque di aver superato i 21 secondi e il merito non era assolutamente
di sua cognata.
Nelle stesse ore Jasmine finse un’urgenza a Siviglia. Quando partì con la
corriera di mezzogiorno Camilo non si fece trovare sul piazzale. Susan
giudicò insolito quell’atteggiamento e notevolmente sgarbato ma non andò
oltre.
*****
L’OMICIDIO
Passarono altri mesi, forse anni ed ora per appagare e raffreddare il suo
sangue gitano Susan trascorreva giornate intere a passeggiare per
chilometri lungo il filo spinato del recinto delle Fonderie fino alla casa
di legno in disuso del giardiniere. Alle volte raggiungeva il grande
cancello sulla strada per San Diego. Imparò a memoria buche, avvallamenti
e zolle d'erba. Diede un nome ad ogni pianta, un senso ad ogni pietra
finché, quando si rese conto che avrebbe potuto percorrere ad occhi chiusi
il tragitto senza mai cadere, decise di scappare con la mente nel posto
più lontano, oltre quel cancello di ferro, dove nessuno mai avrebbe potuto
raggiungerla.
Nonostante tutte le attenzioni del marito, l'umore di Susan continuò a
peggiorare. Iniziò a sottrarsi alla penosa pratica serale accusando
addirittura finti mal di testa. Susan ormai aveva perso ogni fiducia e
dopo il ciclo di infusi preparati amorevolmente con le sue mani si
convinse che mai e poi mai il marito sarebbe tornato un vero maschio. Il
suo atteggiamento divenne inconsapevolmente spocchioso e sfrontato.
Camilo dapprima la pregò di comprenderlo e soprassedere, ma una mattina di
settembre perse la pazienza. Per timore che quell’atteggiamento potesse
travalicare i muri della discrezione familiare e non avendo tempo da
dedicare a quelle che lui considerava frivoli aspetti di vanità femminile
passò alle vie di fatto cercando di rinsavirla rigando la pelle bianca del
suo sedere burroso con una pesante cinghia di cuoio ruvido. Per giorni e
giorni si affidò al primitivo metodo passando dalle mani nude alla cinghia
e poi al bastone, ma il risultato non fu di quelli sperati. Susan, secondo
la tradizione gitana non reagì e per una manciata di settimane, a causa
del dolore, evitò di sedersi e tra una battuta e l'altra lo mise al
corrente della sua nostalgia e dei suoi propositi di fuga in un posto dove
mai nessuno avrebbe potuto raggiungerla. Camilo si rese conto che quel
posto era solo nella mente di sua moglie, ma nonostante questo non aveva
alcuna intenzione di liberarla.
Dal suo canto Susan non si diede per vinta. Quel tipo di trattamento
violento a cui era stata sottoposta fomentò i suoi desideri di vendetta.
Purtroppo al tempo la legge e soprattutto la tradizione Rom non prevedeva
il divorzio o separazioni consensuali per cui convenne che l’unico modo
per liberare se stessa sarebbe stata la morte di suo marito.
Pensò a vari metodi e ne dedusse che, per non essere compromessa, un
avvelenamento lento e silente potesse fare al suo caso. S’informò leggendo
pagine e pagine dell’enciclopedia di famiglia alla ricerca di una pianta o
erba che non lasciasse tracce. Alla fine ripiegò sul classico fungo. Nelle
sue interminabili passeggiate ne raccolse una cospicua quantità a suo
parere decisamente velenosa. Da un decotto di qualche ora ne ricavò una
sostanza giallastra, densa e appiccicosa. La sua prima vittima fu un cane
randagio affamato. Il malcapitato animale dopo un pasto luculliano a base
di carne e una piccola dose della sostanza sbarellò per alcuni metri per
poi accasciarsi imbambolato ai piedi di un salice.
Convinta dell’efficacia della sostanza Susan passò alla seconda fase del
suo disegno. Sempre per non essere coinvolta direttamente e fare in modo
che la sua vittima ne assumesse poco alla volta anziché mescolarla nel
cibo decise di praticare lo stesso metodo degli antichi monaci, vale a
dire: cospargere il veleno sulle pagine dell’unico libro letto e riletto
da suo marito, ossia “Le Gesta d’Orlando e Angelica”. Così facendo i fogli
si incollarono leggermente e Camilo durante la lettura sarebbe stato
costretto a portarsi le dita in bocca per inumidirli e poter così voltare
le pagine.
Camilo era così innamorato di quel libro e che una volta finito
ricominciava daccapo. Susan era sicura che il metodo fosse così
infallibile che già alla fine di quella settimana avrebbe dato i primi
risultati. Purtroppo, per lei, non tenne conto della scarsa forza velenosa
della sostanza, la quale, dopo giorni e giorni di lettura, procurò a suo
marito un leggerissimo mal di testa e qualche linea di febbre. Provò
successivamente con una doppia dose, ma gli effetti non si discostarono
molto dal primo trattamento.
Dopo circa un mese di tentativi, durante la sua solita passeggiata, con
grande stupore vide spuntare da dietro una siepe il cane randagio. A quel
punto si convinse che quel tipo di terapia non avrebbe portato alcun
beneficio alla sua condizione di donna sposata.
*****
JOSE’ LAMBERT
Susan non si perse d’animo. La riconoscenza sempre inalterata per Saviola
Duarte si era letteralmente disintegrata in quel penoso tentativo di
omicidio e soprattutto ora si rendeva conto che tale gratitudine non era
stata sufficiente a debellare quell’insoddisfazione mista a nostalgia che
per lunghi anni l’aveva fatta vivere di ricordi e fantasia, di visioni e
desideri sempre oltre quella finestra, quella fonderia e quelle colline
che separavano la sua vista da ciò che unicamente considerava vita. E del
resto la sua natura di ribelle contro ogni regola la portava ancora una
volta a sfidare ciò che gli altri costruivano a fatica e ne rimanevano
ineluttabilmente intrappolati. E questa volta il suo animo rivoluzionario
la portò oltre il cancello di ferro battuto. Di per sé non era un gesto
materialmente difficoltoso, il cancello era sempre accostato e mai chiuso
con il lucchetto, e neanche un atto di ribellione estrema, visto che
nessun accordo con il coniuge prevedeva che lei non potesse uscire dalla
Fonderia. Ma sicuramente stava trasgredendo quelle che erano le sua
barriere mentali alla ricerca di una luce nuova.
Era di Domenica e per quel suo spirito innato di essere contro si lasciò
andare nei ricordi delle tante mattine dei giorni festivi passate a non
far niente mentre nel locale si respirava l’aria dell’attesa e si carpiva
il sapore del giorno vuoto che passava inutilmente, come un tuono a ciel
sereno, senza musica, senza il ballo e senza quel dubbio che invaghiva le
donne e le faceva vivere solo per il gusto di provarlo. A volte il
desiderare di essere scelte andava oltre il piacere dell’unione carnale
fino al punto inconfessato di sperare di non esserlo per apparire il
giorno dopo ancora più belle.
Susan oltrepassò il cancello e percorse qualche decina di metri in
direzione di San Diego fino a scorgerlo tra la sterpaglia secca che
correva oltre il fiume a valle.
Da lontano vide un uomo seduto sul ciglio della strada. Il suo istinto le
disse di continuare. In prossimità riconobbe la faccia dello sventurato
Josè Lambert, un vecchio paesano seduto da anni lì, in prossimità del
ponte.
Susan al tempo si era appassionata alla sua storia, conosciuta tramite i
racconti spezzettati di suo marito. Aveva saputo l’amara vicenda di lui,
sua moglie e il figlio concepito proprio lì su quella pietra dura. Ma
sinceramente aveva sempre creduto che fosse una favola ed ora il suo
stupore si stava facendo realtà e aveva la netta sensazione di immergersi
in uno di quei libri colorati a tre dimensioni dei bambini.
Lo raggiunse e si fermò inevitabilmente davanti a quella pietra dura dove
l’infausto destino aveva accolto José.
Da anni ogni mattina alle 5,05 il guidatore del pullman che portava gli
operai alla fonderia rallentava in prossimità del ponte. José Lambert,
seduto su quel ciglio di strada, alla vista della corriera faceva per
alzarsi. Tentava invano di riprendere la sua vita normale, ma un destino
ingrato lo risbatteva sulla pietra dura.
Susan lo guardò con aria di pena, poi passò delicatamente la mano sul viso
dello sventurato. Lo chiamò per quattro volte in attesa di un cenno di
reazione che non venne. Riprovò col solo movimento delle labbra, ma José
sembrava essersi dimenticato il suo nome, chi fosse e per quale infausta
ragione la sua vita s’era interrotta o continuava su quella pietra dura.
La guardò muto con lo sguardo anonimo ed assente, inconsapevole e convinto
nella sua fierezza che nessun uomo, o donna che fosse, avrebbe potuto mai
alleviare le sue pene.
Susan ebbe per un attimo la sensazione di essere trasparente, senza corpo,
passata da parte a parte da chi assorto nel proprio dolore non incontrava
ostacoli se non il limite umano del proprio pensare.
Lui fissava un punto preciso senza perderlo mai di vista, ingrandendo le
sue pupille ai margini più ossuti dell’orbita dove la sterpaglia si faceva
rovo e tutto il resto trasparenza, vuoto.
La casa di legno aveva retto per poco al vento e la pioggia, forse Josè
non se ne accorse. Lui rimaneva lì immobile come se il trascorrere del
tempo l’avesse fortificato alle intemperie, al freddo, al sole, alla notte
dandogli la capacità inumana di concentrarsi sull’unico pensiero che gli
dava ancora voglia di vivere. Ma ineluttabilmente aveva perso la parola, o
meglio, quel modo di comunicare dove ci si perde facilmente in chiacchiere
e forma trascurando e distorcendo l’essenza e la purezza del proprio
pensare.
Per Susan era un dolore immenso, gli chiese più volte se si ricordava di
suo figlio. Sillabò il nome di Carlito sperando in una sua reazione, ma
niente.
Tentando di scuoterlo lo chiamò di nuovo, ma i suoi occhi rimasero fissi a
puntare intensamente il nulla davanti a sé, il suo nome oramai non più
familiare cadde nel vuoto come una parola straniera senza significato alla
quale è impossibile dare risposta.
Sentì tutta la sua impotenza di fronte all’ingiustizia. L’ombra di quel
povero uomo le rimase appiccicata addosso come la polvere della strada
sulla sua pelle sudata. Il sole batteva a picco sulla pietra dura e lei
conosceva benissimo la sopportazione del caldo, della fame, della sete,
dell’attesa e di qualunque altro bisogno fisico quando la mente, colma di
un unico pensiero, non riesce ad accogliere altro se non quello che in
qualche modo potrebbe rimuovere il pensiero stesso. Pensò alla sua
nostalgia mai debellata nonostante il destino le avesse messo di fronte un
marito perfetto.
Sentiva in sé una forte contraddizione tra il desiderio d’avventura che la
portava a scoprire fugacemente mondi diversi senza mai assoggettarsi alle
nuove leggi e la nostalgia che la stava riportando in dietro e allo stesso
tempo avanti, rappresentando contemporaneamente il passato e il futuro. Ma
giustificò la propria nostalgia pensandola come uno stimolo a non sentirsi
mai paga di ciò che si era fatto e soprattutto una riprova ad affrontare
vecchie situazioni con uno stato d’animo diverso. In fin dei conti,
pensava, la conoscenza di se stessi passa soltanto attraverso la lettura
delle proprie reazioni al cospetto delle situazioni ricorrenti che
ciclicamente si ripropongono.
Ai piedi della salita verso San Diego d’Arrabal fece i conti con il suo
stato d’animo promettendo a se stessa di non dimenticare Josè Lambert
l’uomo che stava lottando contro il destino accettandone nella battaglia
la forza superiore e immancabilmente la propria debolezza.
Inevitabilmente pensò al suo destino, alla sua pietra dura sulla strada
della libertà.
Sentì così forte la comune sorte che non proseguì verso il paese, ma fece
marcia indietro oltrepassando di nuovo il cancello.
CONTINUA
LA LETTURA