Mio caro,
lei è collegato, ma non mi risponde, forse è impegnato
magari con chi più brava di me, sente davvero un circo tra le sue gambe,
ma stasera non ho voglia di ricordarle i miei sogni, di quando bambina
m’alzavo la gonna, al fischio lontano d’un passaggio d’un treno. Stasera
esco, mi dipingo le unghie di smalto di nero, mi coloro la faccia per
dissolvermi al buio, colori di notte nelle tenebre scure, dove m’assalgono
i dubbi d’essere uguale, identica a quella che ora ha deciso di andare.
Stasera mi metto le calze più nere, come se tra le mie gambe non ci
fosse spiraglio, che lasciasse intravedere uno squarcio di luce, perché
qui non c’è cielo e non c’è paradiso, ma solo la voglia di perdermi
ancora. Mio marito ha allentato le briglie, forse sa, forse ha solo capito
e stasera, lo giuro, non rimango a contare parole, a vederle cadere appese
alla scia, che planano e sfiorano sul mio seno scoperto.
Stasera mi
metto un cappello più scuro, grande come se dovesse riempire, un giorno
intero d’acqua e di pioggia, che agito appena per farla colare, e nera mi
tinge la pelle del viso, e fitta mi copre come coltre di nebbia, dove
dentro galleggio e mi sento diversa, dove chiunque possa chiedermi amore,
senza per questo sapere il mio nome. Stasera mi metto i tacchi più alti,
per conficcarli negli occhi di chi mi distingue, per bucare nel ventre una
notte qualunque, e sentirla diversa da tutte le altre, immaginata da sola
tra le gambe e la mente, mentre scorreva sulla trama di calze, e leggevo
parole di maschio di sesso.
Sono io la notte che incuto timore!
Che slargo le gambe e indurisco le voglie, che sgocciolo semi nei letti
degli altri, nei bagni all’aperto per uomini soli, e l’induco a girare per
un’ombra qualunque, che abbia due labbra per poterla pagare, almeno due
gambe per essere foce, delta di fiume a due passi dal mare. Sono io quel
vento che gelido taglia, e penetra dentro come un sesso che paga, ti
lascia la mancia perché sei stata più brava, dell’altra che aspetta in
fondo a quel viale, che vende la carne dalle parti del cuore.
Sono
io la notte intrigante e violenta, che scurisce le foglie rosse al
tramonto, che confonde quei fiumi dalle fogne e tombini, e lascia che i
topi si riuniscano a branchi, e timidi escano per un pezzo di pane, a
nutrirsi d’avanzi di signore per bene, che fanno marchette per non
sentirsi più sole, che dicono cento sorprese per quanto, possa valere un
sesso che non abbia l’odore, di marito od amante in una stanza da letto.
Sono io la notte che gonfia paure, come se fossero seni rifatti e
precisi, e ingrandisce rumori proprio sopra la testa, proprio come se in
casa non ci fosse nessuno, e mio marito a quest’ora fosse uscito per
sempre.
Strade deserte curvano attorno, nell’ignoto apparire di figure
inquietanti, dove soltanto la mia ombra cammina, s’allunga e s’accorcia e
mi domando stupita, come piatta contenga un’anima vera, come la mia che
m’illudo che sia, diversa dallo smalto che ho messo stasera.
Lì
sento, sono rumori che anneriscono il buio, che provengono ovunque dove
punto l’orecchio. M’illudo che siano cani affamati, randagi e malati che
arrancano a branchi, che rinuncerebbero ad una cagna per un pezzo di
carne. Camminano annusando il culo di quelli davanti, come qualsiasi uomo
a quest’ora farebbe, se per caso distinguesse il mio dietro rigonfio, da
un tronco d’abete o un’ombra sul muro, se solo lo mostrassi come conviene,
scindendo il mio nero da quello di notte.
Eccolo lo sento, è un
maschio per quello che conta, m’insegue e vorrebbe, senza sapere le ore
passate, dall’ultima volta che ho fatto l’amore, su un letto o in pieno
parcheggio, se m’hanno presa strada facendo, e c’era la luna o solo un
alito caldo, che m’ha arricciato la pelle o sgualcito la gonna, mentre per
incanto mi chiedevo a riprese, se fosse durato quanto la voglia, di queste
parole che stasera non vedo, delle altre a quest’ora che cerco altrove.
Se domani il mio letto sarà ancora troppo grande, cosa dirò a mio
marito davvero? Cosa dirò a lei che vorrà sapere, il dettaglio dei passi
che fanno rumore, sopra quale bisogno ho conficcato il mio tacco? E quante
mani avranno avuto la forza, e quante di queste sono arrivate nel punto,
dove l’inganno dell’ombra si squaglia nel caldo, dove li sento e non sono
dei cani, non sono topi che cercano pane, non è il rumore dell’acqua che
scorre sotto i miei piedi. Li sento e la notte l’ha trasformati, l’ho
trasformati e mi stanno cercando, se solo potessero avere una piccola
luce, distinguerebbero il buco che vanno cercando. Camminano in branco ma
girano soli, con il peso davanti e il cuore sopito, tra le mani l’idea di
una femmina calda e il sogno mai domo di farsela tutta. Se solo sapessero
che sono a portata di mano, che basterebbe una stella che brilla e fa
luce, sulle mie unghie smaltate di nero, che stringono il piacere e
lasciano il dubbio, se sia stata la notte ad accarezzarli per bene, se sia
stato quel sogno a dare piacere, perché sorpresi giurerebbero che non
c’era una mano, non c’era una donna ma solo un’ombra, una misera ombra
senza carne né ossa, che senza parlare l’ha fatti godere!
Mi sa
che stasera esco davvero, lei non risponde e non avrebbe più senso,
rimanere in attesa per chissà quanto tempo, per raccontare di una donna
che guarda le stelle! Mi sa che stasera chiudo la finestra, ed entro
davvero dentro quel sogno, dove sento il circo in mezzo alle gambe, dove
io sono la notte che regola il giorno, dove sono il buio che regola il
mondo, ed ogni tanto s’annoia ad aspettare qualcuno, che stasera non dice
non ama e risponde, che forse è impegnato con un’altra più bella, la
stessa che racconta di quand’era bambina, che alzava la gonna al passaggio
del treno, la stessa che stasera gli giura che esce, vestita di notte e
truccata di nero, per dissolversi al buio, alle tenebre scure…
Esco
CONTINUA...
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