Si spiegano albe sopra questo mare di pesto, sopra quest'infinita follia
di scurire il riflesso prima che venga domani, prima che il chiarore
m'invada lasciandomi solchi. Sono tenebre sbiadite ancora prive di luce
che avanzano sulla cresta dell’acqua e s’allungano a gocce scavando tracce
depresse di un’altra indelebile notte.
Le trattengo gelosa come se
fossero ore e sola potessi fermare la luce e riempirmi di tempo, come se
fossero ancora sessi di maschio e tutt'intorno ristagni e m'anneghi la
notte che soffio, che gonfio d'interminabile attesa.
Si spiegano albe
sopra i tavolini umidi dei Bagni Giuditta, sopra le sedie e bottiglie che
vuote qualcuno stanotte ha cercato di prenderne a caso e sentirsi più
uomo. M’ha voluta sopra questo bagnasciuga, che bagnassi i capelli di
acqua di mare mentre allargavo le cosce e l’anima tutta. M’ha voluta
perché ero bella, convinto che il suo sesso mai avrebbe potuto saziarmi,
mai dove stanotte sono arrivata.
Ma sarò capace d'essere femmina
normale? Di sedermi e coprire per pudore quei pochi centimetri di coscia
quando sale la gonna? D’offrire questo tesoro senza per questo sentirmi
chiamare puttana? Perché non mi ci sento, perché non può essere puttana
chi ha il padre avvocato, chi in ingresso dentro una cassapanca, che
dicono antica, fa muffa e ingiallisce un corredo da vomito. Sorrido
pensando a mia madre che fa già le prove di pianto, come se fosse domani,
come se già avessi un pretendente o una pancia da nascondere a parenti e
vicini.
Chissà se davvero mi sposo, se nel mio destino c’è la favola
del cliente straricco che s’innamora della bella puttana. Perché non vedo
altro luogo dove possa spuntare la fiamma di questo sogno d’amore, oltre
queste cabine che conoscono a memoria dove metto la lingua quando mi
chiedono un bacio.
Ma non posso essere puttana se questa mattina ho
stretto mia madre tra le braccia, se ho incamerato come spugna tutta la
sua disperazione per alleviarle la rabbia lasciandole soltanto il dolore e
la disillusione di innamorarsi di qualsiasi uomo ed oggetto le capiti al
volo. M’ha chiesto consigli come se fossi esperta di cuore, come se
l’amore che offro fosse distante da queste mutande che stranamente porto
perché quest’alba a breve mi ricorderà d’essere femmina normale, almeno
una volta ad ogni luna che nasce.
Mi chiedo se oltre quest’alba
sarò capace di provare piacere come adesso confondo il dolore con questi
soldi che sbucano spiegazzati e mi gonfiano le tette. Le guardo e sanno di
mignotta, sanno di sesso a portata di mano che inutilmente copro cercando
un fragile e sconosciuto pudore. Sono trote di fiume, spigole di mare che
nude sopra un banco di pesce annaffio e addobbo con foglie di vite per
farle apparire più fresche. Le stringo perché siano più sode, le raccolgo
dentro le mani per illudermi che sfameranno per sempre qualsiasi bocca
anche quando, a forma di pere, caleranno senza riguardo.
Perché nulla
ora serve degli anni che porto, degli uomini che mi cercano con in mano
una bottiglia vuota di birra, che mi baciano frantumandomi l'anima come se
fosse una fica, come se delusi si rendessero conto che non è altro che un
buco, un misero squarcio che nessuna bellezza potrà mai affinare. Eppure
questi stivali che indosso trafiggono gli occhi di chiunque ne voglia
sentire l’odore, sgocciolano lingue e appannano occhiali di tutti gli
altri che s’accontentano di vederli passare. Mi fanno sentire bella più di
quanto non faccia il primo canto dell’Inferno a memoria o quando scalza
cammino per casa e mio padre mi urla preoccupato perché mi raffreddi,
senza sapere i problemi che incontro ai Bagni Giuditta quando non riesco a
respirare col naso.
Mi chiedo davvero se sarò all'altezza, se
quest'alba che spiega possa ridarmi la luce, che questa paura che sento
m'aggrovigli la faccia come dentro ad un sentiero tra la tela di ragno.
Chissà se quello che ora sto provando sia davvero l’amore o qualcosa
d’informe che chiamano tale, ma ho paura che, se davvero lo fosse,
svanisca e m’illuda, che quando avrò smesso non ci saranno più rose e gli
occhi di Luca non vedranno che seni, che carne. Mi chiedo davvero se sarò
all’altezza, se dopo mesi di fitto lavoro non siano rimasti che calli
capaci solo d’accogliere sessi di vetro e non sentirne il dolore.
Davanti a questa luce che implacabile incombe vorrei che qualcuno mi
bendasse perché sia buio di nuovo, siano di nuovo i Bagni Giuditta dove mi
sento una stella che brilla, che urla come stanotte a carponi riempita nel
punto preciso dove Luca ci scrive poesie. Perché di nulla sarei più
sicura! Dentro questa luna che sbiadita mi regola l’umore, dentro questa
notte che passa, dentro questo cuore scarnito che confonde l’amore col
sesso e vuoto difendo coi soli assorbenti che porto.
CONTINUA...
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