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I racconti di LiberaEva
Gilda
Memorie di una signora per bene
LUDOVICO
Ma
nonostante tutto, quella vita mi era stretta, non mi
bastava, alla fine della giornata mi sentivo vuota e
di nuovo tremendamente sola. A Lara, con la quale
nel frattempo era nata una sincera amicizia e una
forte complicità, riuscii a raccontare per filo e
per segno tutta la mia storia con Maurizio. Sapevo
che era quello il mio punto debole e solo
superandolo avrei potuto tornare a vivere
normalmente come qualsiasi ragazza spensierata della
mia età.
Andavo spesso a casa sua e qualche sera
rimanevo a dormire da lei. I suoi erano separati e
lei abitava con suo padre, un quarantenne a dir poco
stravagante ed inaffidabile. Potava i capelli
lunghi, l’orecchino, aveva tatuaggi sparsi ovunque e
faceva il radiologo, ma a tempo perso si dilettava
in arti marziali ed a fare comparsate per il cinema.
Insomma racchiudeva in sé tutte le contraddizioni
del caso. Alle volte partiva per settimane senza
lasciare traccia, altre rimaneva chiuso in casa
fumando spinelli e tirando di coca.
Fu in
una di quelle notti che entrò nella stanza dove
dormivo in uno stato a dir poco di alterazione. Mi
fece cenno di stare zitta per non svegliare sua
figlia Lara e al buio, seduto sul bordo del letto,
tirò fuori fumo e cartine e iniziò a rollare una
canna. Fumando insieme mi disse che aveva bisogno di
parlare e che io ero la persona adatta per
ascoltarlo. Insonnolita feci fatica a seguirlo
intuendo invece le sue reali intenzioni. Ludovico,
questo il suo nome, saltava da un racconto all’altro
senza alcun senso, dicendomi che adorava andare a
prostitute, che si masturbava pensando alla sua ex
moglie mentre scopava col nuovo compagno, che
adorava il gelato al pistacchio, che aveva un debole
per Amanda Lear, che era tifoso di una grande
squadra del nord e che a quindici anni aveva avuto
il suo primo e unico rapporto gay. Tutto senza alcun
senso fino a quando, illuminandomi il seno con
l’accendino, mi disse che assomigliavo come una
goccia d’acqua alla sua prima ragazza con la quale
aveva avuto il suo primo rapporto sessuale nella
toilette di un treno tra Parigi e Le Havre. Poi
improvvisamente mi baciò in bocca e mi strinse forte
le tette.
Rimasi sorpresa, ma maliziosamente
compiaciuta che potessi interessare ad un uomo
adulto e così stravagante. Certo, nella mia ricerca
di protezione, Ludovico era decisamente fuori
standard, insomma non era il mio tipo, ma lo lasciai
fare anche quando mi strinse forte le cosce, anche
quando, senza chiedermi il permesso, si distese
sopra di me e fece i suoi comodi senza preoccuparsi
minimamente di darmi piacere.
La mattina
dopo a colazione si comportò come se non fosse
successo nulla al punto che credetti davvero che
avesse rimosso l’intera notte o che fosse stato solo
un sogno e mi fossi inventata tutto. Non dissi nulla
a Lara, ma da quel giorno evitai di trattenermi la
notte da lei. Lo rividi sei mesi più tardi, quando
una sera dopo cena mi chiamò al citofono di casa.
Scesi e lui a passeggio col suo cane si scusò per il
suo comportamento assicurandomi che mi aveva pensata
ogni santo giorno, che mi amava follemente e che
aveva smesso con la droga. Era una calda serata
d’estate e camminammo fino ai giardini pubblici e
mentre il cane giocava con uno stecco di legno, su
una panchina in disparte mi baciò sussurrandomi: “Ti
amo Gilda!” Poi senza avergli chiesto nulla mi disse
che avrebbe voluto una storia importante con me e
che essendo separato avremmo anche potuto pensare a
sposarci. Ovviamente non credevo ad una sola parola
ed avevo la netta convinzione che non fosse un
bugiardo reiterato, ma che semplicemente si
entusiasmava per poco e viveva di sogni
irrealizzati.
Mi ritrovai dopo qualche minuto
con le sue mani dappertutto e una tetta di fuori
fino a quando fissandomi negli occhi mi chiese: “Me
lo fai un favore?” Capii e dopo un secondo dietro
una siepe d’alloro mi ritrovai con la faccia tra le
sue gambe e la bocca piena mentre lui con le mani
sulla mia testa mi dava il giusto ritmo. Anche
quella volta non si preoccupò minimamente di darmi
piacere. Dopo quella sera scomparve di nuovo e non
ho mai saputo più nulla di lui.
GIANCARLO
Comunque l’occasione per
dimenticare Maurizio e per vendicarmi di mia madre
avvenne poco dopo. Certo non ebbi mai la certezza
che Maurizio e mia madre se la intendessero, tranne
per il fatto che ogni venerdì pomeriggio mia madre
passava più tempo in bagno e poi usciva vestita
tutta in tiro con in dosso un paio di calze velate
nere che non metteva quasi mai negli altri giorni
della settimana. Gli unici indizi che avvaloravano
la mia tesi erano che stranamente quello era il
giorno in cui la moglie di Maurizio andava a trovare
sua madre anziana, che la figlia aveva lezione di
pianoforte, che la macchina di mia madre rimaneva in
sosta nel garage condominiale e che rovistando tra i
suoi cassetti constatavo che mancava sempre, e dico
sempre, il reggicalze nero e lilla, ossia quello che
Maurizio ogni volta pretendeva che indossassi. Solo
una volta provai a seguirla, ma lei fece un lungo
giro per le strade del quartiere, forse per sviare
qualsiasi tipo di sospetto, e quindi per il timore
di essere vista desistetti mio malgrado
dall’impresa. Un altro venerdì invece mi feci
coraggio e andai ad origliare alla porta di
Maurizio, non sentii alcuna voce, gemito o rumore,
ma in cuor mio avrei giurato che l’odore forte che
sentii sulle scale fosse identico al profumo di mia
madre.
I miei ormai erano separati da oltre
tre anni quando Giancarlo, l’amministratore del
condominio dove abitavamo iniziò a frequentare la
mia casa. Spesso lui, con una serie di scuse
improbabili, bussava alla nostra porta,
ufficialmente per parlare di questioni tra
condomini, ma in realtà per vedere mamma. Capitava
spesso che lei gentilmente lo facesse entrare in
casa e poi si intrattenessero a lungo in salotto
parlando di bollette e rate del riscaldamento.
Avevano più o meno la stessa età e mia madre, ormai
convinta che mio padre non ci avesse più ripensato,
non era certo insensibile a quelle attenzioni.
Poi la cosa andò avanti, Giancarlo non ebbe più
bisogno di scuse, e dato che entrambi non erano
impegnati, iniziarono a frequentarsi. Le loro mete
preferite erano in ordine di importanza: cinema,
cene, teatro, vernissage di vario genere e mostre.
Giancarlo, dall’aspetto compassato e rassicurante,
con barba e capelli brizzolati, non era propriamente
il tipo d’uomo sul quale farci dei sogni erotici, ma
forse era proprio quell’aspetto ad interessarmi al
punto che mi sorpresi a fare i salti di gioia quando
al telefono con una sua amica sentii mamma
lamentarsi di lui e dire che quel bell’uomo,
nonostante le tante occasioni, non si fosse ancora
fatto avanti. Certo io ero solo una ragazzina e di
certo quell’uomo, per un suo verso affascinante, non
stava certo pensando a me, ma il fatto che non ci
avesse ancora provato con mia madre mi diede la
giusta carica!
Infatti, non sempre i casi
della vita seguono un filo logico, tanto che una
mattina mentre stavo andando a scuola e pioveva a
dirotto incontrai Giancarlo sotto casa. Lui mi
ospitò sotto il suo ombrello e poi gentilmente si
offrì di accompagnarmi. Ero in ritardo per cui
accettai volentieri il passaggio. Nella sua auto mi
chiese a bruciapelo perché andassi vestita così da
donna fatta aggiungendo subito dopo: “Chissà a
quanti coetanei farai perdere la testa?” Risposi che
a me non interessavano i miei coetanei, ma gli
uomini di una certa età. Lo vidi sorpreso e allora
continuai dicendogli che avevo avuto una relazione
durata oltre un anno con un uomo più grande di lui.
Quando mi guardò allibito, con fare da grande,
accavallai le gambe e presi dallo zaino la mia
trousse.
Scosse la testa, ovvio che non voleva
compromettersi, perché su quel tavolo da gioco oltre
alla nostra differenza di età c’era la relazione con
mia madre. Guidava evitando di guardarmi con lo
sguardo fisso verso la strada, ma quando gli dissi
che non avevo voglia di andare a scuola e di fermare
la macchina perché avevo cambiato idea e desideravo
scendere per farmi una passeggiata, lui avanzò una
timida proposta: “Ho la mattinata libera se vuoi ti
posso accompagnare.” Risposi che non avevo alcuna
meta e che desideravo stare da sola. Quando fermò la
macchina gli diedi un bacio malizioso sulla guancia
e scesi al volo. Era ovvio che la mia era solo una
tattica, ma lui non poteva saperlo!
Infatti
la mattina dopo puntuale come una cambiale era
ancora lì ad aspettarmi. Ci avrei giurato! Avevo
indossato una gonna ancora più corta e un paio di
stivaletti di pelle all’ultima moda col tacco alto.
Lui non si fece scappare l’occasione: “Stai
benissimo vestita così, sicuramente più adatta alla
tua età!” Mi disse ammirandomi da capo a piedi, poi
mi invitò a salire ed io lo provocai immediatamente:
“Allora ti piaccio!” Dissi poggiando lo zainetto sul
sedile posteriore. “Sei una bellissima ragazza!”
Rispose accendendo il motore e partendo a razzo.
Certo non voleva che qualcuno ci vedesse insieme e
il fatto che quel qualcuno fosse mia madre mi rese
più audace: “Ho voglia di andare al mare.” Lui non
se lo fece ripetere due volte.
Durante il
viaggio i discorsi si fecero più caldi e timidamente
mi chiese se avessi già fatto l’amore. Annuii e lui
per essere ancora più sicuro disse: “Ma allora non
sei vergine!” Con disinvoltura sussurrai: “Provare
per credere!” A quel punto cambiò direzione, prese
una stradina laterale, percorremmo circa due
chilometri di strada sterrata e poi fermò l’auto tra
due fusti alti di una grande pineta. Si accese una
sigaretta, spense il telefono e poi mi disse: “Sai
perché ti ho portata qui?” Certo che lo sapevo, ma
risposi con un’aria di sfida: “No, non lo so,
dimmelo tu!”
A quel punto mi confessò che si
sentiva in difficoltà perché non aveva mai avuto
rapporti con una ragazza della mia età e che i suoi
desideri più reconditi erano tutti riversi verso la
figlia di una sua conoscente che aveva più o meno la
mia età. In quel momento pensai a mia madre, ossia
al fatto che il suo oggetto di desiderio, non solo
non ci avesse ancora provato con lei, ma che per
giunta avesse delle particolari inclinazioni su
ragazze molto giovani e che in quel momento era in
compagnia di sua figlia nel posto dove è facile
incontrare coppie clandestine o prostitute nigeriane
in cerca di qualche euro! Povera mamma!
Non
faceva caldo, ma la sua fronte si imperlò di sudore.
Parlava agitando le mani e nel contempo cercava di
distrarsi guardando fisso il tronco di pino davanti
a noi. Era evidente che nel dubbio su come
comportarsi cercava semplicemente di prendere tempo
o peggio si stava domandando semplicemente come
procedere e allo stesso tempo come negare su tutti i
fronti semmai fosse successo qualcosa. Chissà cosa
avrebbe dato per lasciarsi andare e baciarmi, ma i
timori di cosa avesse rischiato provando con una
ragazzina, figlia della sua futura amante, erano
piuttosto visibili.
Insomma era piuttosto
impacciato per cui per toglierlo dall’imbarazzo
aprii lo sportello e scesi. Dissi: “Ho voglia di
farmi una passeggiata…” Ma lui non mi seguì. Feci
tre giri intorno alla macchina agitando i fianchi e
con la coda dell’occhio notai che si stava mordendo
le labbra.
Allora risalii e con aria scocciata
fui io a prendere l’iniziativa e lo sfidai
apertamente. Sfacciata gli chiesi di baciarmi e lui
lo fece, premendo semplicemente le sue labbra sulle
mie. “Non so dove ci porterà tutto questo!” Mi disse
cercando il mio assenso, tipico di chi vuole, ma non
ha il coraggio. Insomma stava facendo un passo
avanti e due indietro sempre col grande timore di
essersi già spinto oltre.
Mi stancai di quel
tira e molla per cui senza pensarci due volte mi
sbottonai la camicetta e guidai la sua mano sul mio
seno. Lui iniziò ad accarezzarlo senza alcun
trasporto come se fosse una reliquia o un oggetto
prezioso che poteva rompersi da un momento
all’altro. “Mi stai tentando, sei una puttanella
sai?”
Non lo ascoltai, anzi gli dissi di
stringermi ancora più forte, ma rimase impassibile e
qualche minuto dopo ormai spazientita fui io ad
abbassarmi verso di lui, a sbottonargli la patta dei
pantaloni e a gustarmi quella meravigliosa
eccitazione che a tutti i costi quel
bell’amministratore di condominio avrebbe voluto che
restasse segreta. Insomma mi tuffai avida su di lui
e mentre ero lì con la faccia schiacciata tra le sue
gambe lui si preoccupò solo della sua incolumità:
“Non dirai nulla a tua madre, vero?” Certo, mia
madre lo avrebbe fatto a pezzi se solo avesse
saputo!
Presi la palla al balzo, interruppi
per un attimo quello che stavo facendo e gli chiesi
quali fossero i loro rapporti. A me in quel momento
interessava solo di gareggiare con mia madre e di
sentirmi più grande di lei. Lui sincero mi rispose
che tra loro c’era stato un solo bacio nel buio di
un cinema e nulla di più. Ecco in quel momento oltre
al sapore del suo pene sentii chiaramente quello
della rivincita. Allora ripresi a dargli piacere con
più vigore e mi accorsi quanto la mia eccitazione
fosse esclusivamente mentale. Ero riuscita a
vendicarmi prendendolo in bocca prima di mia madre.
In quel preciso istante stavo azzerando i vent’anni
di differenza e parte del risentimento che nutrivo
per via di Maurizio! Arrivai all’orgasmo
concentrandomi su quel pensiero senza che lui mi
toccasse mentre lui poco dopo venne abbondantemente
nella mia bocca. Solo a quel punto lo tranquillizzai
ricattandolo: “Non dico nulla a mia madre se starai
con me!” Lui ci pensò a lungo, in fin dei conti per
il solo fatto che glielo avevo preso in bocca mi
considerava di sicuro una ragazzina inaffidabile per
cui sussurrò solo: “È una pazzia lo sai vero?”
Rimase per molto tempo un nostro segreto, io
saltavo la scuola e non potendo andare nei motel,
perché ero ancora per poco minorenne, lo facevamo
nella sua auto di solito in aperta campagna vicino
ad un casolare di proprietà di una sua zia dove lui
la domenica pomeriggio ci portava mia madre per la
solita scampagnata romantica. Dopo due tre incontri
mi confessò che quella ragazzina su cui nutriva dei
forti desideri non era altro che la figlia della sua
amante. In quell’istante sentii il filo di una lama
di gelosia conficcarsi nella mia pelle per cui persi
ogni tipo di accortezza e dentro quell’auto
consumammo quel giorno ed altri ancora ogni tipo
d’amore.
Ovviamente ero più che ricambiata,
lui aveva perso la testa per me e docile sopportava
tutte le mie stranezze anche quando tornai alla
carica e lo minacciai di non vederci più se non
avesse detto tutto a mia madre o se non avesse
lasciato l’amante. A parte la gelosia non credo di
essermi mai innamorata di lui, ma di certo mi
piaceva comportarmi come una qualunque donna adulta
e quindi essere il solo e unico oggetto del suo
desiderio e dei suoi sentimenti, nonché vederlo così
perso per me al punto che avrei giurato che si
sarebbe giocato la faccia e l’onore per avermi tutta
per sé.
Mi aspettava quasi ogni mattina sotto
casa col rischio di essere visto da mia madre, ma
alla fine nonostante la sua dedizione mi stancai di
lui e senza dirgli nulla misi in atto la mia
vendetta dato che, pur avendo lasciato l’amante e i
suoi propositi di farsi la figlia, continuava
imperterrito a frequentare mia madre ignara di
tutto.
Così un bel giorno, dopo una furiosa
litigata tra me e mia madre, per vendicarmi e
soprattutto per ferirla le urlai con aria sfrontata
che mi facevo scopare da mesi dal suo amico.
Fu
un momento davvero tragico, la sua faccia si colorò
dal viola al rosso acceso, poi iniziò a tremare
tutta e a spalancare la bocca in cerca di un po’
d’ossigeno. Dallo stupore urlò frasi senza senso,
poi però si riprese e mi disse che stavo raccontando
una delle mie solite bugie, ma io insistetti e
allora le dissi che ero stata più brava di lei a
portarmelo a letto e per essere credibile le
descrissi dettagliatamente il casolare. Inviperita e
fuori di sé chiamò immediatamente Giancarlo, chiusa
nella mia stanza la sentii urlare e piangere lacrime
amare.
Non ho mai saputo se fosse disperata
perché sua figlia facesse l’amore col suo amico o
perché lei non c’era ancora riuscita. Morale della
favola il giorno stesso preparai la mia valigia e
andai a vivere con mio padre e la sua nuova
compagna. Qualche giorno dopo, con mia enorme
soddisfazione, seppi che mia madre e Giancarlo si
erano lasciati definitivamente.
Lui
disperato, avendo perso in un solo colpo, l’amante,
la figlia dell’amante, mia madre e la sottoscritta,
mi tempestava di messaggi pieni d’amore e passione,
ma io, dopo i primi in cui tra l’altro minacciò di
suicidarsi, evitai di leggerli perché per la mia
autostima non era assolutamente importante il
contenuto, ma la quantità, in base alla quale avevo
l’esatta dimensione di quanto stesse soffrendo per
me! Non risposi mai e alla fine si stancò.
SAMUELE
Con mio padre la convivenza non
fu facile per cui quando compii diciotto anni, dato
che non potevo tornare da mia madre, decisi di
cercarmi un lavoro e ad andare a vivere da sola.
Quello fu un periodo nero per me. Nonostante le
prediche di mio padre, a studiare non ci pensavo
proprio per cui mi dovetti rimboccare le maniche e
fare qualche lavoro saltuario tipo baby sitter.
Certo era poca cosa e agli inizi mio malgrado
dovetti accettare qualche aiuto economico da parte
di mio padre. Ne avevo bisogno e feci buon viso a
cattivo gioco.
Crescendo divenni una bella
ragazza, piacente, non tanto alta, ma con un fisico
invidiabile, due belle tette e con un paio di tacchi
a spillo diventavo magicamente una donna
affascinante ed appetibile. Comunque mi diedi da
fare e ottenni ben presto il mio primo lavoro
precario come ragazza immagine, certo dovetti
abbassarmi a qualche compromesso e sinceramente per
il mio carattere non era di certo l’attività più
adatta. Poi tramite un signore che avevo conosciuto
ad uno di quegli eventi riuscii a trovare un lavoro
più dignitoso come cassiera in un supermercato della
mia zona.
Il secondo passo fu cercare casa e
purtroppo con le mie ristrettezze economiche fui
costretta ad andare ad abitare in una casa in
affitto in una zona abbastanza periferica per cui
dovetti acquistare una piccola auto di decima mano
per gli spostamenti. Le attenzioni degli uomini,
specie al lavoro, non mi mancavano e dopo qualche
mese di assestamento ebbi dopo Giancarlo la mia
prima relazione, anche sentimentale. Non è che prima
non ne avessi avute, anzi, ma, dato il mio
carattere, si dimostrarono tutte complicate e di
breve durata. Il fortunato di turno fu Samuele, il
direttore del supermercato dove lavoravo. Lui mi
fece una corte spietata ed alla fine accettai uno
dei suoi tanti inviti a cena. Forse sarà stato il
posto romantico e le sue attenzioni pressanti che ci
fu un inevitabile dopocena a casa mia.
Dopo i
primi tre mesi di prova venni assunta regolarmente e
lì capii quanto gran parte del merito fosse dovuto
alla mia disponibilità col direttore. Dopo quella
volta iniziammo ad avere una vera e propria storia.
Lui aveva una compagna che viveva in un paese dei
Castelli e ci vedevamo nei ritagli di tempo
clandestinamente in un motel fuori mano, la mia casa
era troppo pericolosa visto che abitavo a poche
decine di metri dal suo futuro cognato, il fratello
della sua compagna. Così assaporai l’amaro calice di
essere l’amante del capo! Gli sguardi maliziosi
delle colleghe non si fecero attendere e nonostante
lui mi giurasse ripetutamente quanto fosse
innamorato di me, che avrebbe lasciato la compagna e
che un giorno saremmo potuti andare a vivere
insieme, quel ruolo mi andava decisamente stretto.
Samuele era anche un tipo molto ansioso, quando
passeggiavamo per la città si guardava sempre le
spalle come se qualcuno ci spiasse, poi in amore non
era un granché, più che fare l’amore completo
preferiva guardarmi e masturbarsi. Quella cosa mi
fece pensare al punto di convincermi che il suo
piacere era avere piacere indipendentemente dal
partner.
Alla fine decisi che il tempo non
avrebbe giocato a mio favore, del resto ero ancora
giovane e sapevo che avrei potuto chiedere molto di
più alla mia vita. Così che dopo qualche mese lo
lasciai con tutte le difficoltà del caso. Fu una
scena tragica, si mise addirittura a piangere, mi
urlò se avessi voluto che avrebbe chiamato la
compagna dicendole tutto, ma non lo fece.
Addirittura minacciò di suicidarsi gridandomi
addosso che senza di me non avrebbe avuto alcun
senso vivere. In realtà amava se stesso e non
concepiva affatto che una donna potesse lasciarlo.
Comunque mi fece pena, continuai a vederlo e farci
l’amore, ma dopo quel giorno qualcosa si era rotto,
lui iniziò a seguirmi e con estrema facilità ad ogni
discussione mi dava della puttana perché, nonostante
le mie smentite, era convinto che avessi un’altra
relazione. Alla fine lo lasciai definitivamente
colpendolo nel suo orgoglio di maschio ferito. La
vendetta non tardò ad arrivare e dandomi
dell’ingrata e dell’egoista per punirmi iniziò a
crearmi delle difficoltà nel lavoro affidandomi
turni impossibili, poi non contento mi ridusse le
ore di lavoro e di conseguenza la paga settimanale.
ANTONIO
Quell’esperienza mi stravolse
emotivamente, giurai a me stessa che mai più avrei
frequentato uomini sposati o quanto meno impegnati.
Desideravo una nuova vita, respirare aria di libertà
e un rapporto alla luce del sole e senza sotterfugi.
Convinta che l’amore fosse un toccasana per le mie
fragilità iniziai il mio peregrinare sentimentale.
In tre anni ebbi due relazioni importanti, ma ogni
volta dopo l’entusiasmo iniziale mi abbattevo alle
prime incomprensioni e diventavo intrattabile. Poi
ebbi una breve convivenza con un sessantenne vedovo,
pensionato ed ex comandante dei Carabinieri. Sempre
gentile e di una cortesia disarmante, ogni giorno
scambiavamo qualche parola alla cassa del
supermercato, finché mi invitò a prendere un caffè
insieme. Era vedovo, sua moglie era morta da soli
tre mesi e indubbiamente quella persona così a modo
mi dava un’estrema calma. Dopo alcune settimane,
nonostante avessi dubbi mi feci convincere ed andai
a vivere nella sua bella casa a due passi dal
Colosseo.
Dal primo giorno mi disse che
aveva tanto amore da dare ed io secondo lui era la
persona adatta al suo affetto generoso e smisurato.
Era affettuoso e desideroso di darmi tante coccole e
tanta attenzione, tanto che vissi quelle settimane
da vera principessa. Ogni mattina mi portava a letto
un caffè e una rosa e quando ero in casa non voleva
assolutamente che facessi le faccende domestiche o
mi rendessi utile per piccoli aiuti.
Mi adorava
e sinceramente non avevo mai vissuto una situazione
simile. Mi diceva spesso che ero un’anima pura senza
mai chiedermi cosa avessi fatto nella mia vita
passata. Insomma vissi per qualche tempo dentro un
sogno, ma il problema fu che il suo immenso affetto
finì giorno dopo giorno per soffocarmi.
Certo la
differenza di età era davvero troppa e lui scivolava
spesso nel paternalistico per cui da buon
carabiniere non passava giorno che non mi dicesse
come fare e come comportarmi perché fondamentalmente
non amava me ma la sua proiezione di donna ideale.
Mi trattava da bambina e la cosa di certo non poteva
funzionare a lungo. Purtroppo anche lui come gli
altri non aveva compreso quanto il mio bisogno di
protezione fosse molto più profondo che essere
considerata come un’adolescente. Insomma volevo
essere trattata da adulta senza però cancellare il
mio bisogno di appartenenza e di dipendenza. Certo
l’assenza di mio padre aveva avuto un peso non
indifferente per la mia formazione caratteriale ed
Antonio in qualche modo era contento e consapevole
di occupare quel ruolo, ma quando mi disse che non
aveva piacere che uscissi da sola, che portavo le
gonne troppo corte, che occorreva sempre avere un
motivo per sorridere e che avrebbe gradito se non mi
fossi truccata iniziai a riflettere. In amore, al
contrario di Samuele era magnificamente altruista,
anzi solo altruista, vuoi per l’età e vuoi per il
suo inestimabile bisogno di darmi piacere, passavamo
tutte le sere e dico tutte onorando un ferreo
rituale che prevedeva la sua totale dedizione e il
mio completo abbandono. Distesa sul nostro letto
matrimoniale, appoggiata alla spalliera con i polsi
legati e a gambe aperte ricevevo la mia dose
quotidiana di piacere con lui a carponi tra le mie
cosce intento a leccarmi finché non esplodevo in un
orgasmo fragoroso.
Ormai però non potevo più
fare due passi da sola, passavamo giorni interi a
casa senza fare nulla, diverse volte per suo volere
rinunciavo ad andare al lavoro inventandomi scuse
improbabili, insomma avevo bisogno di respirare la
mia libertà perduta per cui un giorno…
MARCO
… incontrai in coda alla Posta,
Marco, un mio coetaneo. Lui fu gentile cedendomi il
posto mentre Antonio stava facendo un’altra fila per
riscuotere la pensione. Parlammo solo pochi minuti,
ma furono sufficienti per scambiarci i numeri di
telefono. Lui per discrezione mi disse che per non
mettermi in difficoltà non mi avrebbe chiamata.
Infatti il giorno dopo chiusa in bagno fui io a
chiamarlo. Lui era il classico ragazzo tutto casa e
lavoro, come si dice dalle mie parti “un pezzo di
pane”, buono, ma non bello, faceva l’operaio edile e
in quel periodo stava ristrutturando un appartamento
vicino a dove abitavo. Ci vedemmo lì le poche volte
che riuscivo a sfuggire al controllo asfissiante di
Antonio e nonostante fossero attimi riuscivamo a
baciarci ed a prometterci amore tra i calcinacci di
quella casa. Alla fine presi tutto il coraggio
possibile e dissi ad Antonio durante il nostro rito
serale e subito dopo aver avuto l’ennesimo orgasmo
che avevo necessità di un periodo di riflessione.
Lui ovviamente non capì, ma la mattina dopo mi alzai
all’alba, gli scrissi un biglietto d’addio e tornai
a casa mia.
Marco mi riempiva di dolcezze,
aveva compreso che per me non era stato
assolutamente facile, ma dopo tre quattro volte che
uscimmo per una pizza o semplicemente una birra
prese la palla al balzo e per il timore che prima o
poi sarei tornata da Antonio mi chiese: “Che ne
diresti di metterci insieme?” Senza rispondere lo
baciai. Il giorno dopo gli dissi che poteva
preparare le valigie e così si prese cura di me
sopportando le mie stranezze e i miei umori
instabili.
I primi tempi furono meravigliosi,
provenendo dalla situazione più che seriosa di
prima, non mi sembrava vero di avere un compagno con
cui riuscivo a vivere con leggerezza. Così conobbi
sua madre, suo padre e i suoi tre fratelli, tutte
persone umili, ma di buon cuore. Andavamo da loro la
domenica a pranzo mentre spesso la sera uscivamo con
i suoi amici e ci lasciavamo andare alle cose più
infantili e spensierate.
Lui era veramente un
ragazzo d’oro e si dimostrò un buon compagno di
vita, ma nonostante le sue attenzioni e il suo amore
infinito io rimanevo spesso fredda, insicura e
irascibile. Il mio umore altalenante lo metteva in
difficoltà non sapendo mai come prendermi. Più volte
mi chiese la ragione, ma era evidente che nella mia
ricerca della felicità assoluta lui non era
presente.
Non gli dissi mai di Maurizio perché
forse non lo ritenevo capace di capire.
Del
resto non era il mio massimo visto che nei miei
desideri più reconditi vi era pietrificata
l’immagine di Antonio ossia di un uomo avanti con
l’età, ma nel contempo una persona che mi facesse
respirare. Marco, invece, era tutto tranne che
protettivo e passionale.
L’amore lo facevamo una
volta a settimana, ma io, non capendo come fosse
possibile, temevo che mi tradisse con le prostitute
e praticamente ogni sera mi lasciavo andare a
incredibili e assurde scenate. “Vai con le puttane
vero?” Non ero affatto gelosa di lui, ma non
sopportando di vivere in quello stato vegetativo mi
ero convinta a torto che lui si divertiva con le
altre.
Si spezzava la schiena a lavoro e
tornava sempre tardi per cui per me quello era
diventato un chiodo fisso. Lui poverino sopportava
in silenzio queste mie alzate di testa, poi quando
mi calmavo mi rassicurava dicendomi che mai mi
avrebbe tradita e soprattutto con una donna a
pagamento. Ovviamente non mi bastava e il giorno
dopo tornavo alla carica finché una sera durante la
cena, mi inventai che lo avevo seguito e lo avevo
visto andare con una puttana di strada. Lui trasalì,
mi disse che ero pazza e per la prima volta alzò la
voce, ma io insistetti e forse perché stanco oppure
totalmente spazientito, alzò le mani, prima con una
serie di schiaffi anche sul viso e poi, visto che
non la smettevo, mi strinse il collo quasi a
soffocarmi, sbattendomi la testa contro la parete
del bagno. Aveva gli occhi rossi e fuori dalle
orbite e per la prima volta temetti veramente per la
mia vita. Poi alla vista del sangue si calmò e mi
accompagnò d’urgenza al pronto soccorso. Mi misero
sette punti in testa e ovviamente dissi ai medici
mentendo che ero caduta accidentalmente dalle scale.
Dopo una settimana quando mi rimisi in sesto lui
fece le valigie e se ne andò di casa.
Ero
distrutta e sfinita. Mi davo della cretina
addossandomi tutta la colpa di quell’ennesimo
fallimento. Praticamente nel giro di tre anni avevo
mandato all’aria tre relazioni importanti. Sapevo
benissimo che la mia gelosia era stata solo
l’ennesimo pretesto e che la ragione vera era la mia
insoddisfazione perenne. Avevo chiuso i ponti con i
miei, rinunciato a fare una vita normale, a studiare
con la speranza di avere un futuro migliore e
incontrare il mio principe azzurro.
Ma nel
contempo non riuscivo a stare da sola e nell’attesa
del mio principe richiamai Marco, lo pregai di
tornare giurandogli che sarei cambiata. Lui alla
fine obbedì, ma dopo una settimana eravamo punto ed
accapo. Questa volta non reagì, non mi mise le mani
addosso, ma prese le sue valigie non ancora disfatte
e se ne andò definitivamente dalla mia vita.
Sola in quella piccola cucina mi convinsi quanto un
rapporto paritario di coppia non facesse per me
perché in realtà non cercavo un compagno di vita, ma
un uomo a cui rivelare ogni dettaglio del mio
passato in modo tale da poter scacciare dalla mia
mente la violenza mentale e fisica che avevo vissuto
nel mio primo rapporto. Certo non era semplice!
Marco con la sua poca cultura ad esempio non sarebbe
mai stato in grado di capire, come del resto Antonio
che mi considerava un’anima eletta e pura per non
parlare di Samuele, egoista al punto tale, che non
avrebbe mai potuto immaginare che anche le altre
persone hanno una loro vita precedente.
L’AMARO CALICE
Lavoravo ancora come cassiera,
ma la paga non mi permetteva di arrivare a fine
mese, per cui, testarda com’ero di non chiedere
aiuto a mio padre, mi ridussi a fare qualche
servizio in casa di due vicine che abitavano nello
stesso mio palazzo. Loro erano gentili, mi
trattavano come una figlia, ma lavoravo molto e la
sera ero letteralmente distrutta. Mi guardavo allo
specchio, a soli 23 anni avevo un viso pieno di
rughe e delle occhiaie profonde e nere. Mi dicevo:
“Gilda che fine hai fatto? Non puoi continuare
così!” Già che fine avevano fatto i sogni in grande
di quella ragazza che amava il bel vivere e il
lusso? Fui più volte sul punto di mollare tutto e
tornare con la testa china da mia madre chiedendole
umilmente mille volte scusa, ma per il bene che
volevo a me stessa e per la mia ostinazione verso di
lei e mio padre avrei sopportato anche quella vita
squallida finché un bel giorno quando meno me lo
aspettavo si aprì uno spiraglio. Non era
propriamente una luce in fondo al tunnel, ma per la
mia condizione economica di allora fu di grosso
aiuto.
Insomma un pomeriggio tornando dal lavoro
il motore della mia macchina di decima mano iniziò a
fare dei rumori strani, pregai Dio di farmi tornare
almeno a casa, ma dopo pochi metri mi lasciò per
strada. Maledicendo tutto il mondo e credendo in un
guasto irrimediabile chiamai il carro attrezzi.
L’omino caricò l’auto e mi accompagnò nell’officina
praticamente sotto casa dove periodicamente facevo
il cambio d’olio e il controllo dei fumi di scarico.
Fu davvero un caso! Giovanni, il proprietario in
tuta bianca, mentre cercava di capire che guasto
avesse la mia macchina, con la testa dentro il
motore, si lasciò andare ad una serie di complimenti
piuttosto diretti: “Signorì per lei io farei non
una, ma cento pazzie!” Per la sorpresa mi guardai
intorno credendo ci fosse qualche altra bella e
avvenente ragazza nei dintorni. Tra l’altro
indossavo ancora il camice rosso con il logo del
supermercato, ma lui insistette e solo a quel punto
mi resi conto di essere io l’oggetto di quelle
avances.
Giovanni era il classico romano molto
schietto, aveva circa sessant’anni, pelato e con un
po’ di pancia, ironico e spassoso era il tizio che
non sai mai se prenderlo sul serio o meno. Tutto ad
un tratto tolse la testa dal motore e iniziò a
ridere: “Signorì, ma lei, dico io, ogni tanto si
ricorda di mettere la benzina?”
Pi mi invitò nel
suo piccolo ufficio pieno di grasso, mi guardò di
nuovo e mi disse: “La guardo sempre la mattina
presto quando esce di casa e sa cosa mi dico? Io con
lei ci verrei anche a costo di impegnarmi casa,
officina, moglie e figli.” Cercai di ridere, ma
venne fuori per l’imbarazzo un ghigno da oca
giuliva. Lui non si perse d’animo e aggiunse:
“Faccia lei il prezzo.”
Rimasi un attimo
inebetita, ma poi realizzando che il prezzo non
fosse per l’auto, ma per me, scappai immediatamente
lasciandogli chiavi e macchina. Lui da dentro
l’officina mi disse: “Mi spiace se si è offesa… non
volevo…”, ma io avevo già attraversato la strada.
A casa piansi, ma non per quello che aveva detto
Giovanni e per come lo aveva detto, ma solo perché,
per l’eterna mancanza di soldi, non avevo mai
escluso quella possibilità ed ora un meccanico
qualunque aveva di nuovo acceso la lampadina. La
vita mi stava portando decisamente altrove, pensai,
ma non ebbi molto tempo per lamentarmi perché
immediatamente dopo mi arrivò un SMS del padrone di
casa il quale gentilmente mi ricordava dei tre mesi
di affitto non ancora pagati.
Seduta sul bordo
del letto mi diedi cento colpi di spazzola e in quel
preciso istante percepii chiaramente il profumo
forte e dolciastro di una vita diversa. Mi guardai
allo specchio, per circa otto anni avevo fatto sesso
per una serie interminabile di svariati motivi che
andavano dal bisogno di sentirmi adulta alla
vendetta, dalla rivalsa al gusto di fare del male
gratuito o alla ricerca di sicurezze e protezione,
ma mai per amore. Certo questa sarebbe stata un
altro tipo di situazione, ma mi era sempre piaciuto
rischiare, giocare col fuoco, districarmi da
circostanze impossibile e soprattutto sentirmi
diversa dalle altre e comunque la leggessi avrebbe
avuto una valenza diversa. Poi però ci tornai col
pensiero e mi chiesi per quale diavolo di motivo in
quel momento dovessi considerare Giovanni un cliente
e non un amico, un amante o un semplice conoscente?
Del resto lui era un tipo buono e umile e se avessi
accettato non mi avrebbe mai fatto pensare il fatto
che mi concedevo a pagamento. Così passai la notte
insonne nel dubbio che fosse realmente arrivato il
momento di bere l’amaro calice…
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è puramente casuale.
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