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I racconti di LiberaEva
Gilda
Memorie di una signora per bene
MASSIMO PEZZI
Intanto con mio marito decidemmo di puntare in alto
scalando ogni vetta della nostra trasgressione.
Tutto cominciò un sabato sera, eravamo sul divano
nella nostra bella casa, dopo cena come capitava
spesso nei week end. Iniziammo a baciarci e nel
momento più bello ci guardammo fissi negli occhi. In
meno di un secondo ci rendemmo conto che, nonostante
l’affetto smisurato, le nostre passioni intime
stavano scadendo di nuovo. Già, incredibilmente era
bastato un attimo per comunicargli che ero di nuovo
in cerca di emozioni diverse e che, per rendere più
gustosa quella pietanza, sarebbe servita almeno una
salsa un po’ più piccante. Insomma avevo bisogno di
qualcosa di più complice, di mentalmente più
appagante, di più sofisticato e perché no di
qualcosa che gli altri avrebbero giudicato corrotto
e immorale. E in quell’attimo non ci fu bisogno di
tante parole, tanto che lui non mi chiese ed io non
gli dovetti spiegare nulla.
Nella mia mente
avevo già individuato la persona adatta per i miei
giochi preferiti per cui gli confidai la mia pazza
idea, ossia di fare l’amore con Massimo Pezzi,
l’Amministratore delegato della nostra società, che
io avevo visto solo una volta, ma non conoscevo di
persona. Di sicuro sarebbe stata la persona giusta,
dato che ogni volta che veniva a Roma, chiedeva a
mio marito, oltre la prenotazione dell’Hassler e del
ristorante, anche, in via del tutto confidenziale,
la compagnia di una signora per la notte tramite
un’agenzia di escort.
Quando mio marito mi
disse che sarebbe venuto a Roma il giovedì
successivo nella mia mente si fece immediatamente
concreta e reale la fattibilità di quel gioco.
Avevamo circa una settimana di tempo per digerire
quella salsa piccante e prepararci psicologicamente
all’evento. Quella sera finimmo per fare l’amore
immaginando già dettaglio per dettaglio e
incoraggiandoci reciprocamente. Ovvio era un nostro
gioco erotico che di solito si sgonfiava totalmente
dopo l’orgasmo, ma la mattina seguente vidi Giulio
ancora più entusiasta per cui senza perdere tempo
prenotai il parrucchiere e l’estetista e il
pomeriggio stesso, insieme a lui, andammo al centro
commerciale e per coinvolgerlo totalmente pretesi
che lui scegliesse la migliore lingerie adatta per
quella serata.
Certo la scelta non fu facile,
dovevamo barcamenarci tra il romantico e il
professionale, anche perché il nostro Massimo Pezzi,
doveva credere a tutti gli effetti di essere alle
prese con una professionista e non certamente la
moglie di un suo sottoposto e per giunta dipendente
della stessa azienda. Entrammo in un lussuoso
negozio di lingerie e dopo tanti dubbi scegliemmo
una calza Philippe Matignon nera velata con la riga
dietro, un reggicalze sempre nero Agent Provocateur
e, per addolcire l’impatto provocante, un intimo
coordinato rosa antico della Perla con tanto di
maliziosi merletti e strass.
Nei giorni
seguenti Giulio, non ancora convinto, dato che
questa volta lui non avrebbe partecipato o assistito
all’evento, tentò più volte di tornare
sull’argomento. Nonostante la sua voglia di
accontentarmi mi confessò che i suoi timori e di non
essere sicuro di portare a termine quel gioco. Da
parte mia cercai di evitare qualsiasi discorso al
riguardo, convinta che ogni parola di troppo avrebbe
appiattito le nostre aspettative e comunque cercai
di rassicurarlo ripetendogli che lo avrei fatto
anche per me stessa, oltre chiaramente per il nostro
equilibrio di coppia. Acconsentii però ad una sorta
di prova generale indossando per lui tutto quel ben
di Dio. Tutti e due ci rendemmo conto che il nostro
gioco complice era già cominciato e quella serata
all’Hassler sarebbe stata solo la ciliegina sulla
torta. Così mi mostrai a lui esattamente come mi
sarei presentata quella sera con tutti gli annessi e
connessi, ovvero gioielli, monile alla caviglia,
cappello e profumo. Giulio vedendomi ebbe un attimo
di smarrimento con tanto di sudore sulla fronte,
mani tremanti e voce impastata immaginando l’effetto
che avrei provocato negli occhi del nostro capo.
La settimana passò tra impazienza e sbalzi di
umore e, nonostante la nostra studiata leggerezza,
la tensione si fece così fitta che si sarebbe potuta
tagliare con un semplice paio di forbici. Ovvio
entrambi avremmo voluto che quei giorni d’attesa
fossero passati in fretta, tra i due era Giulio ad
essere più nervoso, anche perché, non essendo lui
attivamente presente, per la prima volta sua moglie
gli stava passando lo scettro di marito
consapevolmente cornuto.
Il mercoledì
precedente andai dall’estetista e la sera a letto
non mancai di fargli ammirare le mie cosce e il mio
sesso completamente rasato. Avevo lasciato solo un
piccolo ciuffo malizioso e triangolare sul pube in
segno di devota obbedienza. Su vari libri e articoli
di psicologia avevo letto che lo stato d’animo della
coppia, nei momenti che precedono l’incontro, corre
su un filo di rasoio in cui ogni incomprensione può
dare luogo ad ogni sorta di ambiguità provocando
esattamente l’effetto contrario.
Gli chiesi
comunque, pensando all’incontro, se per lui fosse
stato un tradimento. Giulio, in contemplazione delle
mie labbra, mi rassicurò dicendomi che il mio amore
per lui era un segno di fedeltà estrema. Poi non
resistette all’istinto ed iniziò a leccarmela
eccitandosi al pensiero che per quanto fosse liscia
il fortunato avrebbe guadagnato l’entrata senza
alcuna difficoltà. Simulò l’atto con il suo dito
medio per rendersi conto quanto fosse agevole e che
tutte le nostre difficoltà non erano certamente
fisiche, ma risiedevano solo nelle nostre teste. Poi
mi chiese di fare l’amore, ma ormai ero così
concentrata all’evento che non feci fatica a
respingerlo pensando che quell’astinenza avrebbe in
qualche modo alimentato la nostra passione e
soprattutto il mio sentirmi femmina in un altro
letto.
Il giorno stabilito, uscimmo
dall’ufficio prima del solito. In auto parlai solo
io, lo ammetto, iniziavo a sentire la tensione e
così elencai tutte le cose che avrei dovuto fare in
poco tempo. Lui annuiva con la testa e solo quando
arrivammo sotto casa mi disse: “Amore devi stare
tranquilla…” ma in quel momento avvertii chiaramente
ad una ad una, tutte le battaglie che lui stava
combattendo internamente comprese tutte le bombe
atomiche che scoppiavano disordinatamente nel suo
cuore ad ogni suo respiro. Ma lui non disse altro ed
io, arrivati a casa, mi chiusi in bagno.
Il
tempo scorreva inesorabilmente, guardai l’orologio
in bagno: mancava meno di un’ora e mezza
all’appuntamento. Quando uscii dalla doccia, Giulio
mi stava aspettando in camera seduto sul bordo del
letto. Al buio ed assorto con le mani giunte
sembrava che stesse pregando. In quell’istante
credetti davvero che mi invitasse a rinunciare, del
resto sarebbe bastata una semplice telefonata
all’agenzia di escort per sostituirmi forse con una
donna meno bella di me, ma di certo più mignotta
nell’anima. Sì in effetti la mia tensione,
nonostante le mie esperienze passate nel campo,
s’avviluppava su un unico enorme dubbio: “Sarei
stata all’altezza? Mi sarei comportata da troia
vera?” Gli andai vicino e gli accarezzai i capelli,
ma lui preso dal suo orgoglio, si scrollò di dosso
le ultime residue incertezze e non disse nulla, anzi
mi invitò ad aprire l’accappatoio ed a mostrarmi
platealmente nuda ai suoi occhi: “Dio mio quanto sei
bella!” Non disse altro.
Appoggiati alla
spalliera del letto pendevano sete e merletti,
Giulio a quel punto si alzò dal letto e cercò di
abbracciarmi, ma io scivolai dalle sue braccia e
voltandomi iniziai a prendere delicatamente ad uno
ad uno, come fossero cioccolatini al rum, le mie
armi di seduzione. Dapprima indossai il reggiseno,
poi le calze, il reggicalze e infine il perizoma
rosa antico.
Lui guardava estasiato
quell’atto sacro di vestizione come fosse in
contemplazione. Fu lui a darmi le ultime sicurezze e
da quel momento non ebbi più dubbi: del resto se
troia dovevo essere, troia sarei stata. Lui rimase
col fiato sospeso, ma poi non resistendo allungò la
mano ed iniziò a seguire il velo impalpabile della
calza fino ad arrivare al mio sesso umido. Ecco in
quel momento anche lui ebbe l’evidenza solenne che
mai avrei rinunciato a quell’incontro. Le sue mani
erano così delicate che percepii quanto timore
avesse di sciuparmi, ma sentii chiaramente anche la
sua piacevole soddisfazione che quella sera mi sarei
donata a lui tramite un altro cazzo. Certo in quel
momento nessuno dei due immaginava le dimensioni, la
potenza e la fisicità del sesso della nostra preda,
ma entrambi eravamo convinti che, comunque fossero
state, ne avremmo goduto mentalmente entrambi.
Lui mi aiutò a infilare il tubino aderente e poi
si inginocchiò ai miei piedi e mi aiutò a calzare le
scarpe, con un gesto insolito abbassò ulteriormente
il capo fino a sfiorare il pavimento e mi leccò i
tacchi altissimi. Quel gesto così simbolico mi fece
sentire una regina ed ebbi la netta sensazione che
da quella sera in poi, per mezzo della mia
femminilità straripante, avrei scalato le montagne
più impervie e che nessuna vetta mi sarebbe stata
preclusa. Ovviamente di quella sensazione non ne
feci parola, non era assolutamente il momento di
intavolare un discorso così complicato e pieno di
strascichi e dubbi.
Quando finii di truccarmi
lui mi porse il soprabito, il cappello e la borsa.
Mi guardai di nuovo nel grande specchio di ingresso,
seguii con lo sguardo maschile le forme del mio
sedere e l’incavo della mia schiena, soddisfatta
bagnai il mio collo con cinque gocce di Chanel n. 5
e chiesi ad Giulio di guardarmi attentamente da capo
a piedi. Lui mi rispose: “Sei perfetta, amore!” Ero
pronta!
Uscimmo di casa alle sette e venti,
ovviamente Giulio mi avrebbe fatto da autista,
lasciandomi preventivamente a cento metri
dall’albergo. In auto, in mezzo al traffico caotico
di una Roma invernale, evitò di toccarmi le gambe
come faceva di solito. Fu a quel punto che avvertii
la prima sensazione strana e mi chiesi se quella
serata fosse stata davvero il nostro collante o un
inesorabile distacco. Poi però optai per una ragione
molto più prosaica ossia che l’unica preoccupazione
di mio marito fosse stata quella di non sfilarmi la
calza.
Durante il tragitto Giulio mi diede le
ultime istruzioni e mi disse che lo scarno programma
della serata avrebbe previsto un aperitivo nella
hall dell’albergo e poi l’intrattenimento nella
camera 412. Ecco sì, quella che sarebbe stata la mia
prima scopata ufficiale e di conseguenza le sue
prime corna, la chiamò asetticamente:
“intrattenimento”.
Mi lasciò in Piazza
Barberini all’angolo con Via Sistina. Lui avrebbe
passato la serata al cinema, cenato da solo nel
nostro solito ristorante e poi avrebbe aspettato un
mio messaggio in un locale vicino Via della Scrofa.
Il giorno dopo entrambi avevamo preso un giorno di
ferie per cui mi disse di non preoccuparmi per l’ora
tarda, mi avrebbe aspettato fino a mattina se fosse
stato necessario.
*****
Poco meno
di due minuti ed ero davanti all’Hotel Hassler. Ebbi
un attimo di esitazione, mi voltai, respirai
profondamente e guardai la meravigliosa scalinata di
Piazza di Spagna. Sì, Roma era bella, romantica,
signora affascinante, virtuosa e nel contempo un po’
mignotta come mi sentivo io quella sera. Mi
avvicinai alla vetrata d’entrata dell'Hassler, un
uomo in livrea mi guardò portandosi la mano al
cappello grigio in segno di saluto. Pensai: “Chissà
quante ne avrà viste di puttane d’ogni ordine e
grado passare da questa vetrata… chi per soldi, chi
per ambizione e mi consolai pensando di non
appartenere a nessuna di quelle categorie…” Mi
guardai attraverso il grande specchio all’entrata,
oh sì ero bella! Certo lo sapevo che l’etichetta non
avrebbe mai consentito un cappello di sera, ma mio
marito conosceva i gusti di Massimo Pezzi, ed ogni
volta la richiesta all’agenzia indipendentemente dal
resto, era categorica e sempre la stessa: “Una
escort elegante col cappello”. In quel momento avrei
scommesso mille euro che quel cappello così insolito
per la sera non me lo sarei tolto per tutta la
serata e dico tutta.
Scivolai leggera ed
altezzosa calpestando appena il tappeto rosso che mi
guidava verso la hall. L’appuntamento era sui divani
morbidi proprio lì di fronte al bar. Massimo Pezzi
era seduto alla sinistra del bancone un po’ in
disparte, come da accordi una rosa gialla a gambo
lungo giaceva sul suo tavolino, ma ovviamente feci
finta di non riconoscerlo e mi guardai intorno. Lui
si alzò agitando la rosa per attirare la mia
attenzione. Mi chiesi come facesse a sapere che
fossi io la escort che stava aspettando. Forse
esperienza, forse fiuto maschile o solo banalmente,
mi dissi, che chiunque riconoscerebbe a distanza
siderale chi fossi, ossia colei la quale stava
portando il suo sesso a domicilio ad un cliente
dell’albergo.
Mi avvicinai. Ci presentammo.
Gli dissi di chiamarmi Camille, già per una sera
decisi di farla rivivere e la cosa mi intrigò molto.
Lui mi invitò a sedermi sulla poltrona di fronte.
Mentre sprofondai dentro quella morbidezza di pelle
rossa guardai il grande orologio antico sulla
parete. Erano le otto e trenta in punto. Lui mi
fissò, affascinato come se non avesse mai visto una
donna elegante e disinibita, ma allo stesso tempo
notai un velo di sorpresa nel suo sguardo. Mi chiesi
il motivo, pensai a come si sarebbe comportata in
quel momento una professionista, ma pensai anche al
mio rossetto rosso fuoco, alle mie unghie lunghe
dello stesso colore, alla mia cavigliera e a quale
effetto potessero fare ad uno uomo che aveva già
incontrato tante escort seduto proprio su quella
poltrona.
Di certo era un bell’uomo, ma
questo lo sapevo già, dato che negli ultimi giorni
più volte l’avevo visto in foto col suo gessato
grigio nell’album aziendale della chat interna.
Rammentai anche di averlo visto una volta di
persona, ma non ricordai l’occasione. Mi venne anche
il dubbio di aver parlato con lui. Ma in quel
momento ero colpita dalla sua capigliatura folta con
qualche filo bianco, dai suoi occhi verdi
espressivi, dalla sua meravigliosa abbronzatura, dai
gemelli d’oro ai polsini, dal Rolex in bella
evidenza e dai suoi 57 anni portati da Dio. Cercai
di fissare l’immagine, non perché ne fossi
particolarmente attratta, ma solo per fissarla nella
mia mente e poterla poi descrivere dettagliatamente
a mio marito.
Lui non mi tolse gli occhi di
dosso ed io con studiata malizia accavallai le gambe
e lasciai che l’orlo del mio tubino aderente si
alzasse quel poco per mostrare impercettibilmente il
bordo più scuro della mia Philippe Matignon e per
fargli immaginare, se ancora non lo avesse capito,
che dopo quel meraviglioso vedo e non vedo c’era
solo il Paradiso terrestre, ossia la sua Eva per una
notte.
Le sue difese iniziarono a cedere ed io
cercando di essere più disinvolta possibile, presi
la rosa dal tavolo ed esclamai: “Tutte le rose
profumano per mestiere.” Lui fece un piccolo cenno
di assenso con la testa, non avevo più dubbi, era
letteralmente trafitto dal mio fascino, o più
probabilmente, dall’idea di portarmi il più
velocemente possibile nell’alcova n. 412. Con la
voce impastata mi invitò a prendere qualcosa.
Sprofondai sulla mia poltrona in modo che il mio
velo di calza più scuro fosse ancora più evidente e
con soddisfazione mi dissi che mai avrei creduto che
i ruoli tra Amministratore Delegato e dipendente
della stessa azienda si potessero ribaltare in quel
modo e in così poco tempo.
Quando il
cameriere poggiò sul tavolino il vassoio d’argento
con due coppe di Ruby Diamond Cocktail la situazione
era leggermente cambiata. Era bastato che parlasse
del suo lavoro, dei suoi due figli, dei suoi hobby,
del golf, della sua casa immersa nel verde, della
sua città ovvero Bologna, per entrare nel suo ruolo
di uomo di potere, ricco e affascinante. Mi disse da
uomo sicuro del suo fascino che solitamente non gli
serviva pagare le donne per farci l’amore, ma che la
mia presenza era solo un modo per avere compagnia e
non passare la serata in completa solitudine.
Cercai di fare attenzione alle sue parole, ma mentre
parlava, continuavo a percepire dal suo sguardo un
misto di sospetto e cautela. Ripassai a mente lo
scarno programma della serata, a quel punto, finito
di consumare il cocktail, il prossimo punto
prevedeva direttamente la stanza 412. Aspettai
l’invito, ma Massimo Pezzi non si mosse, mi scrutò e
alla fine mi chiese: “Io e lei ci conosciamo, vero?”
Avvertii un tonfo, secco e lacerante, nella
parte più profonda del cuore. In un flash ripassai a
memoria tutte le occasioni di lavoro tramite le
quali mi avrebbe potuta vedere senza che io me ne
accorgessi. Milano, Roma, Bologna… Solo a quel punto
mi venne in mente una riunione di poche decine di
minuti quando lui era ancora il Vice Direttore della
filiale di Bologna ed io una neoassunta alle prime
armi. Che stupida! Certo che mi aveva vista! E non
solo! Ricordai anche i suoi complimenti per la mia
relazione sui nuovi Fondi di Investimento Green, ma
non mi persi d’animo e contrattaccai: “Ho una faccia
così comune?”
Mi guardò oltre il trucco, il suo
sguardo penetrante mi spogliò completamente: “Non
direi, lei è una donna fuori dal comune! Sa io di
belle donne me ne intendo e credevo di averla già
incontrata, ma forse mi sbaglio.” Scampato il
pericolo respirai profondamente e mi rilassai.
Ma
lui non mi diede tregua: “Eppure ho la sensazione di
averla già vista.”
Cercai una frase a caso: “Non
penso, è da poco tempo che faccio questo lavoro e
ricordo perfettamente tutti i clienti che ho
incontrato finora.”
Lui non si fece scappare
l’occasione: “Spero non tanti e comunque le devo
confessare che lei è così charmant che non mi
ricorda affatto una escort.”
Il colpo basso
arrivò immediatamente nella mia pancia. Lo sentii
così potente che non mi restò che muovere
leggermente le gambe in modo che la stringa del mio
reggicalze si materializzasse come in un incanto in
un infinitesimo di secondo al suo sguardo
indagatore. Lo guardai maliziosamente. Mi accorsi
dell’effetto. Colpito e affondato!
A quel punto
non gli restò che aggiustare il tiro: “Che ne pensa
se continuiamo a bere i nostri cocktail in stanza?”
Ecco, era proprio quello che volevo sentirmi dire.
Mi alzai immediatamente, del resto la poltrona da
morbida e accogliente era diventata improvvisamente
scomoda e piena di spine.
Lo precedetti
precaria sui miei tacchi sottilissimi tra i tavolini
della hall, qualcuno mi guardò, l’espressione era
eloquente, sapeva che tra non molto mi sarei fatta
scopare da quell’uomo che mi seguiva.
Camminavo
lungo il corridoio di marmi lucidi venati di verde e
grigio cercando di ondeggiare lievemente con un
sinuoso movimento del bacino, certa che lui non
stesse chiedendosi dove mi avesse vista, ma
ammirasse solo le mie curve e che i suoi pensieri
impazienti, adagiati sul mio sedere, avevano già
preso l’ascensore e aperto la stanza n. 412. Cercai
di intuire la coda di quel pensiero e mi chiesi
quanta puttana ci fosse in quel movimento invitante
e quanta troia si annidasse sulla cucitura della mia
calza nera che speravo fosse ancora dritta e
sensuale.
Mi coccolai al pensiero che lui non
potesse fare a meno di definirmi in quel modo, ma
ancora di più, ripensai alla sua frase: “Ci
conosciamo?” Quella domanda banale aveva aperto
incredibili scenari di inquietudine, ma allo stesso
tempo di incommensurabile e sana trasgressione. Se
fossi stata una semplice escort sarebbe stato così
tutto banale, piatto e materiale, del resto non ci
vedevo nulla di provocatorio ed eversivo quando una
donna si offriva per denaro e un uomo pagava e
comprava quella merce. Ma se davvero lui pensasse di
conoscermi, ma se davvero sapesse che ero la moglie
di un suo sottoposto nonché una sua dipendente le
cose avrebbero acquistato una valenza imprevista e
di gran lunga più eccitante. Allora sì che lui non
sarebbe stato un banale cliente ed io sarei
diventata più puttana di una escort, più troia di
qualsiasi donna che si concedeva ad uno sconosciuto.
Lungo quel corridoio mentre continuavo ad
accalappiare tutta la sua attenzione cercando di
distoglierlo da altri dubbi, il mio unico pensiero
fu: “Che ne penserebbe Giulio?”
Me lo chiesi
di nuovo quando prendemmo l’ascensore convinta che
il gioco seppur eccitante sarebbe diventato troppo
pericolo e quindi a tutti i costi dovevo continuare
nella parte, non dovevo recedere di un millimetro da
quel gioco che io e mio marito avevamo così
meticolosamente progettato ed io voluto. In
ascensore presi la sua mano e la portai sul mio seno
chiedendomi se una escort si fosse mai lasciata
andare ad un gesto così poco professionale, ma in
quel momento desideravo dargli la misura di quanto
mi sarei potuta concedere. Aspettai una sua
contromossa, ma lui rimasi distante con la mente,
forse stava ancora pensando dove cavolo mi avesse
vista oppure perché la moglie di un suo dipendente
si stesse concedendo in quel modo. Finalmente
arrivammo al piano e lui da vero gentiluomo si fece
da parte per farmi scendere. Mi chiesi: “Ma se
davvero mi crede una escort avrebbe mai usato
quest’accortezza?” Non feci in tempo a rispondermi.
La stanza 412 era davanti all’ascensore.
*****
Entrai in camera e cercai di indovinare
quale avrebbe potuto mai essere la prima mossa di
una prostituta. Dopo aver poggiato la borsa sulla
poltrona di sicuro non avrebbe controllato il bagno
o la morbidezza del materasso. Forse si sarebbe
seduta sul bordo del letto aspettando. Così feci.
Lui si tolse la cravatta e attraverso lo specchio mi
sorrise. Mi domandai se fosse di natura silenzioso,
oppure se il suo silenzio fosse dovuto ad una
naturale inibizione al cospetto di una bella donna
che non sembrava una escort oppure se il suo mutismo
fosse solo dovuto ad una pericolosa diffidenza nei
miei confronti. Optai per tutte e tre le risposte
incitandomi a fare qualcosa che sapesse di
prostituta. Comunque risposi al saluto e sul
tavolino di lato notai il secchiello del ghiaccio
con una bottiglia di buon Ferrari d’annata.
Se non fosse stato per quel: “Ci conosciamo?”
sarebbe stata una serata fantastica e soprattutto
Giulio sarebbe stato fiero di me ed orgoglioso della
sua donna finalmente troia. Giulio? Ah già mio
marito, l’avevo quasi dimenticato! Pensai a cosa
stesse facendo, percepii per un instante la sua
ansia rendendomi conto che ero stata io a
coinvolgerlo! Immaginai quanto fosse maledettamente
erotico pensare che, grazie al bel signore che avevo
davanti, Giulio sarebbe entrato ufficialmente a far
parte del club dei mariti consapevoli e cornuti. Del
resto lo aveva detto lui, constatando la morbida
apertura della mia fica, che se non fosse stato per
la nostra mente sarebbe stato maledettamente facile
entrare in quel club. Ma noi ora quello stadio
mentale lo avevamo ampiamente superato e mai mi
sarei perdonata se avessi fallito a pochi metri dal
traguardo. Forse mancava un minuto oppure un’ora ed
io ancora seduta sul bordo del letto, mi dicevo che
non era una questione di tempo o di metri e che
Giulio poteva considerarsi a tutti gli effetti già
cornuto per il solo fatto di aver accettato e
agevolato il mio desiderio.
Mi chiesi cosa
avessi dovuto fare per farlo sentire ancora di più
cornuto di quanto non lo fosse già e non mi venne in
mente altro che pensare ad un’apoteosi di piacere,
una deflagrazione che non prevedesse superstiti,
simile a quelle bombe che avevo sentito nel cuore di
mio marito che emulavano perfettamente quello che mi
stavo aspettando. Insomma un orgasmo vero, sacro,
intenso e ripetuto più volte, tipo una raffica di
mitra senza soste che durasse una notte intera,
un’immersione senza respiro che mi prendesse
totalmente la carne e a mio marito la testa. Eh sì
solo così mi sarei sentita di aver fatto il mio
dovere e mi sarei congratulata con me stessa per
essere stata l’artefice della salvezza del mio
rapporto di coppia. Oh sì perché ormai ne ero più
che convinta che l’amore eterno passava per una
grande scopata liberatoria dove ognuno concedeva in
affitto la sua parte più intima o mentale per non
avere rimpianti.
Seduta sul bordo del letto
mi stavo calando in quella parte e via via saliva il
senso di totale dipendenza da quell’uomo e la totale
appartenenza a chi ora mi stava possedendo a
distanza al punto tale da lasciarmi godere un cazzo
altrui senza neanche il bisogno di guidarmi o di
avere in qualche modo una parte attiva.
Istintivamente mi sentii sedotta da entrambi e il
mio unico desiderio in quel momento non si
discostava molto dall’essere sottomessa, violata e
dominata per soddisfare entrambi e soprattutto me
stessa. Mi chiedevo quanto tempo ancora rimanesse
proprio nel momento in cui lui si stava togliendo i
gemelli d’oro dai polsini della bella camicia
bianca. Pensai: “Ci siamo.” Lui si avvicinò.
Mi fissò per circa cinque minuti di orologio ed io
mi chiesi se fosse solo per piacere o semplicemente
per constatare ciò che a breve sarebbe diventata la
custodia del suo cazzo. Come una navigata
professionista sfoderai un sorriso teatrale. Lui mi
porse la mano e mi fece alzare e solo a quel punto
rammentai che la prestazione prevedeva il pagamento
in anticipo. Lui non si scompose, estrasse dalla
tasca dei pantaloni il mazzetto di mille euro
avvolto in un nastro rosso. Lo poggiò sul comodino
sotto la lampada ed io sorrisi ancora senza contare
i venti fogli da cinquanta euro l’uno. Del resto mi
dissi che non era assolutamente importante il
contenuto, ma il pacchetto stesso, simbolo di una
compravendita e del mio diritto di sentirmi
ufficialmente una troia.
La mia richiesta
così diretta non lo smosse minimamente anzi sembrò
compiaciuto perché quel gesto così materiale e
venale, seppure lo riportasse alla dimensione di
cliente e ribadisse la giusta distanza tra noi, gli
dava il sacrosanto diritto di usare il mio corpo a
suo piacimento e di considerarsi da quel momento in
poi unico beneficiario di un piacere immediato.
*****
Mi guidò verso la finestra,
aprì le persiane e mentre guardavamo lo stupendo
panorama dei tetti rossicci e notturni di Roma,
sentii da dietro le sue mani che accarezzavano
delicatamente il mio vestito seguendo la curva dei
miei fianchi fino all’attaccatura delle cosce.
Lentamente replicò il gesto per tre volte
accompagnandolo con un gemito di soddisfazione ed
ogni volta aumentò la pressione fino a che
quell’orbita così sensuale centrò perfettamente il
buco del mio sedere. Ebbi un sussulto e immaginando
il piacere che stavo offrendo ai suoi occhi,
istintivamente inarcai il bacino porgendolo come un
regalo prezioso al mio benefattore.
“Ci
siamo!” Pensai. La sua impazienza aveva rotto gli
argini e senza assaporare una minima bollicina di
Ferrari stavamo entrando nella fase più carnale
della serata. Al pensiero mi bagnai come
un’adolescente e mi sentii soddisfatta perché in un
niente crollarono tutti i miei timori e quelli di
Giulio. Quanto avrei voluto che in quel momento mi
avesse vista e avesse ammirato nella leggiadra
arrendevolezza il sedere di sua moglie che senza più
remore si offriva in tutto il suo splendore.
Ad
ogni istante immaginai quello che sarebbe successo
un attimo dopo e un brivido di caldo mi avvolse
quando le sue mani più decise mi sollevarono il
vestito e con un gesto esperto e rapido sfilarono il
perizoma per ammirare senza più indugi e nella sua
interezza la merce acquistata poco prima. Mi calai
ancor più nella parte e da finta esperta agevolai
l’operazione stringendo le gambe in modo che il
perizoma scivolasse magicamente lungo le mie gambe
fino alle caviglie.
Sentii la pressione del
suo corpo e inconfondibilmente la sua eccitazione di
maschio, il suo fiato umido sul collo e
contemporaneamente la sua mano a forma di
conchiglia, tremendamente esperta, tremendamente
decisa, che premeva nei punti giusti del mio sesso e
raccoglieva le gocce dense del mio piacere che
involontariamente colavano come stalattiti ai primi
caldi. Istintivamente aprii le gambe per facilitare
il movimento di quelle dita senza però, almeno
sperai, sottrarre nulla all’eleganza del mio corpo.
Ma lui insistette, infilò le dita e le ritrasse,
guadagnando ogni volta un centimetro della mia
pelle. Era un gesto tremendamente erotico e nel
contempo sacro come se stesse bagnando le sue dita
in un’acquasantiera. Lui insistette così tanto che
precaria sui tacchi ebbi un forte fremito mentre lui
ormai maschio mi spinse in avanti per farmi
incurvare.
“Ecco ci siamo!” pensai di nuovo.
E dopo meno di un secondo sentii il suo membro farsi
spazio tra le mie labbra. Fu solo un attimo, un
infinitesimo attimo ed era già dentro. Aveva ragione
mio marito. Ci era voluto meno di un secondo ed era
stato estremamente elementare passare da moglie a
grande troia. Pensai a Giulio e sussurri nella mia
mente: “Benvenuto amore nel club dei cornuti
consapevoli.” Lo sentivo imperioso scivolare nelle
mie intimità e riempire incredibilmente ogni mio
vuoto spingendosi negli interstizi più profondi
delle mie pieghe più segrete.
Ma fu solo un
assaggio e durò il tempo di rendermi conto di quanto
quelle meravigliose dimensioni mi avrebbero fatto
godere. Lui si ritrasse, si allontanò, mi disse di
rimanere in quella posizione, di non muovermi.
Stappò la bottiglia di Ferrari, riempì i due
bicchieri e mi offrì il calice. Mentre ci gustavamo
le bollicine la sua mano tornò a stringere con forza
il mio sesso, sentii quasi un dolore, piacevole e di
possesso, perché la sua voce profonda esplose come
un macigno nelle mie orecchie: “Ti piace vero?”
Risposi con un sì interminabile e pieno di piacere.
E lui: “Anche a tuo marito piace?”
Eccola la
frase che non avrei mai voluto sentire, la frase che
avevo temuto fin dall’inizio della serata e che
avevo letto nel suo sguardo, ma che ora
incredibilmente si infilava nei capillari più
periferici. Cercai immediatamente una scusa che non
venne. Mi sentii persa, le gambe tremavano, mi resi
conto di non essere solo una puttana, ma una
perversa femmina in cerca di sesso proibito. Un
brivido intenso lungo tutta la schiena tagliò in due
le mie parti di sesso e ragione. Allora decisi di
reagire con l’unica arma che avevo a disposizione e
gli dissi di prendersi quello che gli spettava a
prescindere a chi appartenessi, lo incitai a non
smettere e lui, avendo già superato il punto di non
ritorno, fu ben felice di farlo. Sentii la sua mano
lungo il taglio del mio sedere per poi risalire
davanti e fermarsi dove esattamente nel mezzo
s’annidava il centro di ogni mia voglia.
Ormai aveva scoperto il gioco ed io mi sentii
un’adolescente nuda davanti al suo stupratore,
indecente ed esposta ad ogni suo volere. Pensai a
tutto ciò che sarebbe potuto accadere, a come quella
serata rappresentasse il confine tra passato e
futuro, ma incredibilmente più ci pensavo e più mi
eccitava e più mi convincevo che non mi sarebbe
potuto capitare di meglio come mia prima volta.
Immaginavo la faccia di Giulio, la sua carriera
simile al mio culo proteso e la nostra dignità in
pezzi. Per sentirsi troia non basta scopare con un
altro uomo, mi dissi. Per sentirsi una grande troia
serviva sentire il proprio onore cadere in pezzi,
sentirlo sbriciolare sotto i colpi di un maschio che
in quel momento rappresentava in tutte le sue forme
il potere che avevo negli anni sempre cercato nei
tanti letti in cui mi ero stata.
Lui salì in
cattedra, ormai era cosciente del suo potere e che
avrebbe potuto permettersi di tutto. Le sue dita
uscivano ed entravano, sentivo i suoi pollici ben
piantati e fermi tra le mie labbra, era una specie
di tortura, ma sapevo perfettamente che il mio
compito fosse aspettare. Sentivo l’ebbrezza del
ricatto, l’essenza della costrizione di quel gioco
che in quell’istante era saldamente nelle sue mani.
Si inginocchiò scrutando le mie intimità, pensai che
in quel momento non fossero più sufficienti
l’eleganza dei modi e gli atteggiamenti da troia, il
suo intento era solo quello di vedere cosa ci fosse
tra le pieghe più scure di una moglie che si offriva
sapendo benissimo tuttavia che l’unica differenza,
rispetto alle tante donne che aveva usato finora,
era solo la totale disponibilità di quanto potessi
concedermi. Del resto ero io quella che doveva
comprare il suo silenzio e non avendo più nulla da
perdere seguii l’istinto più rapace come fosse
l’ultima scopata della mia vita.
Sentii il
mio corpo cedere alla pressione delle sue dita, al
ricatto immorale che inconsapevolmente mi attraeva.
Sentii la lunga miccia partire da lontano, dalla mia
testa, dall’anima tutta, la sentii scorrere ardente
dentro di me e poi avanzare ed alimentare la fiamma
tra le mie cosce, fino ad esplodere tra le sue dita.
Lui era estasiato, quasi ipnotizzato da tanto
ardore, da quel vulcano che eruttava lingue di
fuoco, allora avvicinò la sua bocca ed io sentii la
sua lingua impazzita che risucchiava il vortice di
piacere e beveva, annusava e leccava la lava densa.
Subito dopo ebbi il mio primo orgasmo violento sulla
sua bocca, ma lui ne voleva ancora, mi incitò a non
fermarmi, mi scosse finché esplosi di nuovo.
Appena un attimo dopo senza darmi tregua tornò
su quel pensiero, non perché fosse sospettoso o
diffidente, ma solo perché ora lo trovava eccitante:
“Lui lo sa vero? O ti sei sostituita alla escort
senza dirglielo?” Certo lui non sapeva per cui prima
di rispondere mi interrogai quale risposta lo
avrebbe eccitato maggiormente e a quel punto senza
avere dubbi lo guardai in faccia e dissi: “Sa.”
Incredibilmente mi baciò: “E perché avete scelto me
per il vostro gioco perverso?”
Lo baciai anch’io
e dissi: “Perché sei sempre stato nel nostro letto.”
Sorrise, non sapeva quanto ci fosse di vero, ma il
copione del piacere gli impose di crederci. E allora
mi prese per i fianchi, un attimo dopo mi voltò, mi
strinse, mi tenne ferma, e come fossi un comodo
bersaglio da centrare, mi penetrò entrando e uscendo
da padrone e pensando esclusivamente al suo
desiderio. Lo sentii ansimare, sentii chiaramente il
suo gusto di sentirsi preda di una perversione e
quanto fosse più eccitante che essere solo un
cliente di una escort. Nel vortice del piacere si
spogliò di ogni accortezza scopandomi anima e fica
ed io devota allo stesso piacere mi dissi che, se in
quell’istante per assurdo lui si sarebbe sfilato e
avesse deciso di non farmi godere ancora, non
sarebbe cambiato nulla, perché quello che stavo
provando era più tremendamente intenso e violento di
mille orgasmi a ripetizione.
Sentii il suo
ardore, la sua pressione più mentale che fisica, la
sfida con se stesso, l’impotenza di arrivare dove
avrebbe voluto, come se le dimensioni del suo pene
non fossero state abbastanza per possedere una
moglie più troia di una escort. Il suo movimento si
fece più scomposto, disordinato, preso dall’impeto
mi strappò il vestito, il reggiseno, rimasi in
calze, cappello, reggicalze e tacchi. Con lo sguardo
estasiato mi disse che ero incredibilmente bella,
più delle cento escort messe in insieme che si era
scopato fino ad allora dentro quella stanza. Ma
avvertivo anche una leggera insoddisfazione come se
avesse desiderato che quella bellezza svanisse sotto
i suoi colpi per diventare solo carne, ossa, essenza
dell’oggetto del suo piacere. Allora mi strizzò il
seno, mi strinse forte le cosce, come se nel mio
dolore trovasse la giusta linfa per possedermi
totalmente.
Sentii il suo grugnito d’animale
predatore, le sue gocce di sudore sulla mia schiena
e poi la sua voce roca, maledettamente erotica che
mi diceva porca sapendo benissimo che troia non
sarebbe stata la parola giusta. Si fermò un
infinitesimo di secondo per raccogliere le energie e
poi riprendere, in un crescendo fino all’apice della
sua voglia. Mi concentrai per sentirmi pienamente
soddisfatta, per urlare insieme nel momento
dell’orgasmo, intimamente congiunti, godere
all’unisono, né un attimo prima né un attimo dopo,
perché le corna non lasciassero dubbi e fossero
certe, vere, eterne, ramificate e ben piantate nella
memoria e nell’anima di entrambi.
Lo sentii
al limite, ma incerto dove sfogare il suo istinto,
mi voltò ancora, il suo sguardo mi penetrò gli
occhi, vidi nel suo desiderio le cento troie che si
era scopato in quella stanza, in quella posizione,
pigiate contro il davanzale di quella finestra.
Pensai alle loro urla, ai loro sessi a tariffa,
bagnati, comodi e reattivi e mi eccitava
terribilmente il fatto di essere unica e diversa, il
proibito, la suora, la novizia, la minorenne, ma
soprattutto moglie troia di un marito coscientemente
cornuto. E nei suoi colpi ben assestati sentii
l’illecito, qualcosa che andava al di là della legge
di un uomo e una donna che si fondono insieme. Forse
stava pensando che avrei potuto essere sua moglie e
quindi la paura di essere tradito, e allora come un
ossesso martellò dentro di me tutta la sua rabbia,
gli istanti si confusero, passato e futuro divennero
un immenso presente. Mi chiese quante volte mio
marito mi aveva fatto scopare da altri, gli dissi
che era in assoluto la prima volta, anzi per
eccitarlo ancora di più aggiunsi che Giulio mi sta
aspettando nella hall. Mi guardò con aria sbigottita
come se non si fosse aspettato quella frase o come
se fosse troppo per lui, e allora mi mostrò il suo
sesso orgoglioso, duro e maschio, ma solo per un
attimo perché subito dopo scomparve di nuovo dentro
di me.
Nel grande specchio appeso alla parete non
riuscii più a distinguere le due figure, i nostri
corpi erano fusi in un blocco unico. Sotto quei
colpi fitti mi stavo liberando di ogni scoria, mi
sentivo leggera come una piuma, mi parve di non aver
peso e danzai mentalmente nell’aria e fisicamente
planai ripetutamente sui suoi fianchi con le gambe
divaricate.
Lui mi martellava e colpo su
colpo cercavo di agevolarlo e resistergli, erano
colpi secchi, come uno sparo all’alba nella
brughiera, tonfi sordi della mia carne nuda contro
il muro, sentii la mia voce incitarlo e la sua che
mi ordinava di non fermarmi. Appiattita contro
quella parete lievitò di nuovo il mio piacere.
Questa volta fui io ad incitarlo di non fermarsi, a
battermi, a scoparmi come se davvero fossi l’ultima
sua donna e fosse l’ultimo giorno e non ci fosse
altro domani che quel presente. Eravamo
perfettamente uniti, in simbiosi, perfettamente in
un magico incastro come se la natura ci avesse
creati e modellati pensando a quell’incontro.
Solo a quel punto lui rammentò che in quella
stanza c’era anche un letto e un secondo dopo, lui
sopra di me, nella posizione classica di femmina che
accoglie, di maschio che pretende, sentii il suo
respiro caldo, intenso, grosso, sentii i suoi denti
affondare nella mia carne, il suo cazzo diventare
protagonista assoluto della scena seguente. Urlai,
lo pregai di finirmi, di non lasciarmi ferita, di
lasciarmi un marchio indelebile così che tutti
potessero sapere quanto fossi stata troia, quanto mi
fossi fatta scopare da un altro con la benedizione
di mio marito. Le mie parole risuonavano come
nettare per la sua eccitazione, sentii il suo cazzo
di marmo, duro dalle parti del mio cuore, la sua
bocca nella mia, il suo sudore acido, l’odore forte
del mio orgasmo, le mie urla viziose, la saliva
fondersi, i capelli bagnati, i morsi sul collo, il
cigolio del letto, le pareti crollare quando in un
fremito interminabile lui esplose dentro di me
inondandomi tutta.
*****
Subito dopo nel silenzio profondo della stanza la
sua voce profonda e senza più energia mi disse: “Sei
stata fantasticamente donna e meravigliosamente
mia!” Così dicendo prese in mano le mie mutandine e
con un gesto plateale le strinse e le annusò
profondamente. Ebbi un sussulto, ma non parlai. Di
tutta risposta mi alzai e per ribadire le nostre
distanze presi il mazzetto di euro sopra il comodino
e afferrai da terra il mio reggiseno.
“Questo non
lo vuoi?” Mi porse il perizoma.
“Se vuoi te lo
lascio come ricordo.”
“Grazie, ma vorrei qualcosa
di più di un ricordo.”
Si appoggiò alla spalliera
del letto e mi osservò compiaciuto mentre mi infilai
a fatica il tubino aderente: “Non ti fai la doccia?”
“Lui mi desidera così. Vuole sentire l’odore della
sua donna che si è concessa ad un altro uomo.”
Non era vero, ma lo dissi per scandalizzarlo e lui
rimase a bocca aperta. Sapevo di averlo colpito, ma
fece finta di niente e riprese: “Sei stata
magnifica…”
Cercai di sviare: “Credevo che dopo
l’amore mi prendessi a male parole.”
Lui
insistette: “Vorrei che non dicessi a tuo marito che
ti ho riconosciuta.”
Lo guardai con aria
incredula: “E perché mai?”
“Avrei piacere se ci
rivedessimo, ma questa volta in incognito e senza la
sua complicità.”
Sorrisi maliziosamente e
continuai a vestirmi abbassando lo sguardo. “Non
credo sia possibile.”
Lui si alzò mi accarezzò il
viso e mi tenne stretta a sé: “So che ti è difficile
non dire a lui che ho scoperto il vostro gioco, ma
allo stesso tempo penso che ti sarà facile
incontrarmi di nuovo a sua insaputa.”
Avrei
voluto ripetergli che con Giulio ci amavamo alla
follia e il nostro gioco non prevedeva il
tradimento, ma, forse per liberarmi dall’imbarazzo e
per togliergli dalla mente l’idea che fosse stato
solo usato, annuii con la testa.
“Davvero tuo
marito ti sta aspettando nella hall?”
Sorrisi:
“Oh no, avresti potuto incontrarlo e non sarebbe
stato opportuno. L’ho detto solo per eccitarti e
allungare il piacere di entrambi.”
Lui non
resistette e mi baciò: “Lo vedi che sei stupenda? Tu
sai toccare le corde più tese della seduzione.”
Incredibilmente mi lasciai baciare e aprii
automaticamente le mie labbra quando sentii la sua
lingua.
Fu un bacio meraviglioso quasi d’amore.
Sebbene mi fossi concessa come non mai, nonostante
avessi in bocca e nel sesso il sapore del suo
membro, incredibilmente lo sentii come il primo vero
atto di infedeltà verso Giulio.
Terminato il
lungo bacio mi ripresi: “Vuoi scoparmi ancora?”
Lui non rispose e allora lo provocai: “In effetti la
cifra che hai pagato ti dà diritto ad avermi per
l’intera notte.”
Lui mi abbracciò: “Tu non sei
una escort. Io non ho nessun diritto su di te. Ora
desidero solo rivederti fuori da questo gioco.”
Mi sembrò così tutto incredibile, avevo paura che
quel gioco mi prendesse, anzi avevo paura di uscire
fuori dal gioco per cui lo salutai, presi il mio
soprabito, la borsa ed uscii.
*****
Camminai lungo il corridoio di marmo, ad ogni
specchio che incontrai mi osservai, ma non vidi
nulla di diverso. Mi chiesi cosa mai avessi dovuto
fare per essere riconosciuta come una puttana. Non
presi l’ascensore, scesi le scale a piedi. Dovevo
sentire il rumore dei miei tacchi, rendermi conto di
quella che ora ero. Mi concentrai, provai a rivivere
le sensazioni di quando lui era entrato come una
lama in un burro. Quello era l’atto ufficiale, il
momento in cui avevo fatto di Giulio un cornuto
consapevole, ma incredibilmente non riuscivo a
pensare al sesso e a quanto mi fossi concessa, ci
ritornai ancora, ma l’unico mio pensiero riguardava
la sua proposta. Mi voleva come la sua amante
esclusiva e segreta. Quello davvero non lo avevo
previsto. Percepii un brivido caldo intenso tra le
mie cosce come se fossi stata in astinenza da mesi.
Addirittura pensai di tornare indietro, bussare alla
stanza 402 e ricominciare da quel bacio. Feci due
passi indietro, lo desideravo davvero, essere di
nuovo scopata, ma avvertii un piccolo sbandamento e
mi aiutai con il corrimano della scala, a quel punto
scossi la testa e ripresi a scendere lentamente
pensando quanto il concetto di amante fosse ancora
più coinvolgente e trasgressivo di quello di troia!”
GIULIO
Fuori dall’hotel la serata era
fredda. Il tizio in livrea mi guardò con deferenza,
mi fece piacere pensare quanto fossi inarrivabile e
che da quella sera appartenevo di fatto al club
esclusivo delle mignotte d’alto bordo. Giulio era lì
ad aspettarmi. Salii in macchina, ma incredibilmente
non mi chiese nulla. Vero, forse non servivano le
parole, bastava quell’odore forte di sesso che
invase l’abitacolo. Comunque ci baciamo, poi mi
annusò il collo, il seno, mi chiamò amore.
Avrei
voluto non dirglielo, avrei voluto che tutto filasse
liscio così come lo avevamo immaginato. Magari
distesa nuda sul nostro letto e che lui mi guardasse
in penombra e ammirasse i miei lividi per rendersi
conto di quanto fossi stata sua, quanto fossi stata
quella sera la sua femmina speciale. Per poi
annusarmi la pelle più morbida delle mie cosce e
assaggiare le tracce del seme dell’altro ancora
caldo per sentire inconfondibilmente il sapore aspro
e dolce della nostra salsa piccante.
Ma non
potevo tacere: “Mi ha riconosciuta, sa chi sono e di
chi sono moglie!” Lui fermò la macchina e mi guardò
con gli occhi spiritati: “Ma che dici?” Non riusciva
a crederci. In pochi attimi il suo viso diventò
duro, severo, il suo pensiero andò oltre,
all’ufficio, alla sua carriera, alla sua faccia, al
suo onore. Iniziò ad imprecare. Era fuori di sé.
Cercai di tranquillizzarlo, gli dissi che Massimo
Pezzi si era comportato da gran signore e che mi
aveva assicurato che nessuno avrebbe mai saputo, ma
la sua espressione non cambiò, gli stava crollando
il mondo addosso. Mugugnò frasi incomprensibili,
addirittura pianse. Poi assunse una faccia da cane
bastonato, si toccò più volte i capelli guardando
fisso il muro davanti a noi.
“Scusa e tu ci hai
continuato a scopare? Non sai che significa questo
per me?”
Ovviamente non stava pensando a me, il
fatto che io mi fossi concessa totalmente passò in
secondo piano. Ora pensava solo a se stesso e quali
sarebbero state le conseguenze.
Anzi urlò e
iniziò a sbattere violentemente i pugni sul volante:
“Cazzo non è possibile!”
Gli ricordai quando
Massimo Pezzi mi aveva vista.
“Non ci credo, è
successo tanto tempo fa, non è possibile che si sia
ricordato di te!”
A quel punto gli saltò in mente
un dubbio atroce che mise fine a quella serata: “Sei
stata tu a dirglielo vero?”
“Ma sei matto? Cosa
vai a pensare?”
“Dai dillo, ti è piaciuto scopare
come una zoccola con lui e mi hai messo alla
berlina! Ora sarò lo zimbello di tutta l’azienda!”
A casa ci spogliammo in silenzio senza
guardarci, ero incazzata, quell’accusa mi girava
nella testa come un mulinello. Per la sola nostra
esclusiva complicità avrei voluto dirgli anche della
proposta oscena che Massimo Pezzi mi aveva fatto, ma
a quel punto avrei solo alimentato le sue
farneticazioni. Muta andai in bagno e mi feci una
doccia, desideravo solo togliermi di dosso
quell’odore ingombrante. Quella sera feci fatica a
prendere sonno.
La mattina, quando mi svegliai,
lui era già in piedi. Feci colazione da sola,
ripensai alla serata, scossi la testa, certo avevamo
pensato a tutto, il programma era perfetto, ma come
al solito il diavolo aveva fatto le pentole e si era
dimenticato dei coperchi. Lui uscì senza dirmi
nulla. Ovvio che non gli era passata e che in
qualche modo mi credeva l’unica colpevole di quello
che era successo.
Da quel giorno Giulio si
allontanò da me. A casa ci scambiavamo solo frasi di
circostanza e da quella volta non facemmo più
l’amore. Sfuggente e perennemente arrabbiato col
mondo iniziò a trattarmi male, a bere, a uscire
tutte le sere e a rincasare tardissimo. Mi odiava e
vedeva in me il simbolo della sua avventata
perdizione e non aveva tutti i torti visto che ero
stata io a portarlo su quella strada. Insomma fu un
periodo davvero difficile, di grande disagio e di
grandi sensi di colpa.
Iniziai a frequentare un
mio vecchio compagno di scuola, poi il veterinario
della mia gattina, ma erano frequentazioni
superficiali utili solo per distrarmi. Sinceramente
non mi davo pace per come fosse andata la nostra
storia e per un breve periodo caddi in una profonda
depressione. Ogni volta che ripensavo a quella sera
mi chiedevo cosa avessi potuto fare di diverso e
dove avessi sbagliato, ma il mio vero problema era
Massimo Pezzi! Lui da quella serata non aveva smesso
di scrivermi e non passava giorno che non mi
mandasse decine di email tramite la posta interna
dell’ufficio. All’inizio le cestinavo senza
leggerle, ma un bel giorno mi decisi a dargli una
piccola chance. Certo se mio marito si fosse
comportato in maniera diversa mai e poi mai avrei
accettato di incontrarlo nello stesso albergo
all’insaputa di Giulio.
Prendemmo un drink
seduti sullo stesso divano della volta prima e poi,
salimmo nella stanza 412. Lui mi aveva assicurato
che tra noi al massimo ci sarebbe stato solo un
bacio, ma poi, per volere di entrambi ci lasciammo
andare e fu sesso vero, sorprendendoci entrambi di
quanto il ricordo di quella prima volta fosse una
fonte inesauribile di eccitazione. Soprattutto
Massimo non riusciva mentalmente a superare
quell’immagine e a capire come una donna potesse
concedersi ad un altro uomo per amore del proprio
marito. Nel tempo cercai più volte di spiegargli la
sensazione perché francamente anche a me riusciva
difficile comprendere razionalmente cosa avessi
fatto. Ben presto diventammo amanti e quella che
credevo una piccola chance diventò l’inizio di una
bellissima storia di sesso. Quell’impasse mentale,
quel meccanismo perverso, gli procurava delle
reazioni incontrollate e allora mi prendeva e mi
pretendeva fino allo sfinimento con la stessa
intensità della nostra prima volta. Facevamo l’amore
ovunque, nelle toilette dei ristoranti oppure nei
parcheggi dei centri commerciali e tutti e due
sapevamo benissimo che il suo grande appetito
sessuale derivava proprio da quello scandalo
interiore. Più volte mi chiese quale fosse stato il
processo mentale di Giulio, quale il mio, quando lo
avevamo deciso, cosa ci eravamo detti e soprattutto
la strada più breve per arrivare a quella totale
complicità. Nonostante le mie risposte sempre più
dettagliate non se ne liberò mai, anzi divenne per
lui una vera e propria ossessione che lo portò via
via ad una vera impotenza. Non riuscendo più a
scoparmi e a controllarmi mentalmente iniziò a
picchiarmi prima e durante l’amore, insomma i suoi
comportamenti divennero così violenti che decisi,
anche se a fatica, di diradare quegli incontri.
Andammo comunque avanti per qualche mese
all’insaputa di mio marito, finché Giulio tornò in
sé e pentito per il suo comportamento, iniziò di
nuovo a parlarmi e a non uscire più la sera. Non
seppe mai della mia relazione con Massimo, ma
tornammo sull’argomento sapendo entrambi che l’unica
cura possibile sarebbe stata quella di rivivere
quella serata per convincersi entrambi quanto fosse
stato solo uno stupido gioco venuto male. Così una
sera dopo l’ufficio ci ritrovammo, comodamente
seduti nella hall dell’Hassler bevendo un Ruby
Diamond Cocktail per poi salire insieme nella stanza
412. Da quella sera Massimo Pezzi fu solo uno
spiacevole ricordo.
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fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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