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RACCONTI
 
 

I racconti di LiberaEva
Gilda
Memorie di una signora per bene

 
 
 
 


MASSIMO PEZZI

Intanto con mio marito decidemmo di puntare in alto scalando ogni vetta della nostra trasgressione. Tutto cominciò un sabato sera, eravamo sul divano nella nostra bella casa, dopo cena come capitava spesso nei week end. Iniziammo a baciarci e nel momento più bello ci guardammo fissi negli occhi. In meno di un secondo ci rendemmo conto che, nonostante l’affetto smisurato, le nostre passioni intime stavano scadendo di nuovo. Già, incredibilmente era bastato un attimo per comunicargli che ero di nuovo in cerca di emozioni diverse e che, per rendere più gustosa quella pietanza, sarebbe servita almeno una salsa un po’ più piccante. Insomma avevo bisogno di qualcosa di più complice, di mentalmente più appagante, di più sofisticato e perché no di qualcosa che gli altri avrebbero giudicato corrotto e immorale. E in quell’attimo non ci fu bisogno di tante parole, tanto che lui non mi chiese ed io non gli dovetti spiegare nulla.
Nella mia mente avevo già individuato la persona adatta per i miei giochi preferiti per cui gli confidai la mia pazza idea, ossia di fare l’amore con Massimo Pezzi, l’Amministratore delegato della nostra società, che io avevo visto solo una volta, ma non conoscevo di persona. Di sicuro sarebbe stata la persona giusta, dato che ogni volta che veniva a Roma, chiedeva a mio marito, oltre la prenotazione dell’Hassler e del ristorante, anche, in via del tutto confidenziale, la compagnia di una signora per la notte tramite un’agenzia di escort.

Quando mio marito mi disse che sarebbe venuto a Roma il giovedì successivo nella mia mente si fece immediatamente concreta e reale la fattibilità di quel gioco. Avevamo circa una settimana di tempo per digerire quella salsa piccante e prepararci psicologicamente all’evento. Quella sera finimmo per fare l’amore immaginando già dettaglio per dettaglio e incoraggiandoci reciprocamente. Ovvio era un nostro gioco erotico che di solito si sgonfiava totalmente dopo l’orgasmo, ma la mattina seguente vidi Giulio ancora più entusiasta per cui senza perdere tempo prenotai il parrucchiere e l’estetista e il pomeriggio stesso, insieme a lui, andammo al centro commerciale e per coinvolgerlo totalmente pretesi che lui scegliesse la migliore lingerie adatta per quella serata.

Certo la scelta non fu facile, dovevamo barcamenarci tra il romantico e il professionale, anche perché il nostro Massimo Pezzi, doveva credere a tutti gli effetti di essere alle prese con una professionista e non certamente la moglie di un suo sottoposto e per giunta dipendente della stessa azienda. Entrammo in un lussuoso negozio di lingerie e dopo tanti dubbi scegliemmo una calza Philippe Matignon nera velata con la riga dietro, un reggicalze sempre nero Agent Provocateur e, per addolcire l’impatto provocante, un intimo coordinato rosa antico della Perla con tanto di maliziosi merletti e strass.

Nei giorni seguenti Giulio, non ancora convinto, dato che questa volta lui non avrebbe partecipato o assistito all’evento, tentò più volte di tornare sull’argomento. Nonostante la sua voglia di accontentarmi mi confessò che i suoi timori e di non essere sicuro di portare a termine quel gioco. Da parte mia cercai di evitare qualsiasi discorso al riguardo, convinta che ogni parola di troppo avrebbe appiattito le nostre aspettative e comunque cercai di rassicurarlo ripetendogli che lo avrei fatto anche per me stessa, oltre chiaramente per il nostro equilibrio di coppia. Acconsentii però ad una sorta di prova generale indossando per lui tutto quel ben di Dio. Tutti e due ci rendemmo conto che il nostro gioco complice era già cominciato e quella serata all’Hassler sarebbe stata solo la ciliegina sulla torta. Così mi mostrai a lui esattamente come mi sarei presentata quella sera con tutti gli annessi e connessi, ovvero gioielli, monile alla caviglia, cappello e profumo. Giulio vedendomi ebbe un attimo di smarrimento con tanto di sudore sulla fronte, mani tremanti e voce impastata immaginando l’effetto che avrei provocato negli occhi del nostro capo.

La settimana passò tra impazienza e sbalzi di umore e, nonostante la nostra studiata leggerezza, la tensione si fece così fitta che si sarebbe potuta tagliare con un semplice paio di forbici. Ovvio entrambi avremmo voluto che quei giorni d’attesa fossero passati in fretta, tra i due era Giulio ad essere più nervoso, anche perché, non essendo lui attivamente presente, per la prima volta sua moglie gli stava passando lo scettro di marito consapevolmente cornuto.

Il mercoledì precedente andai dall’estetista e la sera a letto non mancai di fargli ammirare le mie cosce e il mio sesso completamente rasato. Avevo lasciato solo un piccolo ciuffo malizioso e triangolare sul pube in segno di devota obbedienza. Su vari libri e articoli di psicologia avevo letto che lo stato d’animo della coppia, nei momenti che precedono l’incontro, corre su un filo di rasoio in cui ogni incomprensione può dare luogo ad ogni sorta di ambiguità provocando esattamente l’effetto contrario.

Gli chiesi comunque, pensando all’incontro, se per lui fosse stato un tradimento. Giulio, in contemplazione delle mie labbra, mi rassicurò dicendomi che il mio amore per lui era un segno di fedeltà estrema. Poi non resistette all’istinto ed iniziò a leccarmela eccitandosi al pensiero che per quanto fosse liscia il fortunato avrebbe guadagnato l’entrata senza alcuna difficoltà. Simulò l’atto con il suo dito medio per rendersi conto quanto fosse agevole e che tutte le nostre difficoltà non erano certamente fisiche, ma risiedevano solo nelle nostre teste. Poi mi chiese di fare l’amore, ma ormai ero così concentrata all’evento che non feci fatica a respingerlo pensando che quell’astinenza avrebbe in qualche modo alimentato la nostra passione e soprattutto il mio sentirmi femmina in un altro letto.

Il giorno stabilito, uscimmo dall’ufficio prima del solito. In auto parlai solo io, lo ammetto, iniziavo a sentire la tensione e così elencai tutte le cose che avrei dovuto fare in poco tempo. Lui annuiva con la testa e solo quando arrivammo sotto casa mi disse: “Amore devi stare tranquilla…” ma in quel momento avvertii chiaramente ad una ad una, tutte le battaglie che lui stava combattendo internamente comprese tutte le bombe atomiche che scoppiavano disordinatamente nel suo cuore ad ogni suo respiro. Ma lui non disse altro ed io, arrivati a casa, mi chiusi in bagno.

Il tempo scorreva inesorabilmente, guardai l’orologio in bagno: mancava meno di un’ora e mezza all’appuntamento. Quando uscii dalla doccia, Giulio mi stava aspettando in camera seduto sul bordo del letto. Al buio ed assorto con le mani giunte sembrava che stesse pregando. In quell’istante credetti davvero che mi invitasse a rinunciare, del resto sarebbe bastata una semplice telefonata all’agenzia di escort per sostituirmi forse con una donna meno bella di me, ma di certo più mignotta nell’anima. Sì in effetti la mia tensione, nonostante le mie esperienze passate nel campo, s’avviluppava su un unico enorme dubbio: “Sarei stata all’altezza? Mi sarei comportata da troia vera?” Gli andai vicino e gli accarezzai i capelli, ma lui preso dal suo orgoglio, si scrollò di dosso le ultime residue incertezze e non disse nulla, anzi mi invitò ad aprire l’accappatoio ed a mostrarmi platealmente nuda ai suoi occhi: “Dio mio quanto sei bella!” Non disse altro.

Appoggiati alla spalliera del letto pendevano sete e merletti, Giulio a quel punto si alzò dal letto e cercò di abbracciarmi, ma io scivolai dalle sue braccia e voltandomi iniziai a prendere delicatamente ad uno ad uno, come fossero cioccolatini al rum, le mie armi di seduzione. Dapprima indossai il reggiseno, poi le calze, il reggicalze e infine il perizoma rosa antico.

Lui guardava estasiato quell’atto sacro di vestizione come fosse in contemplazione. Fu lui a darmi le ultime sicurezze e da quel momento non ebbi più dubbi: del resto se troia dovevo essere, troia sarei stata. Lui rimase col fiato sospeso, ma poi non resistendo allungò la mano ed iniziò a seguire il velo impalpabile della calza fino ad arrivare al mio sesso umido. Ecco in quel momento anche lui ebbe l’evidenza solenne che mai avrei rinunciato a quell’incontro. Le sue mani erano così delicate che percepii quanto timore avesse di sciuparmi, ma sentii chiaramente anche la sua piacevole soddisfazione che quella sera mi sarei donata a lui tramite un altro cazzo. Certo in quel momento nessuno dei due immaginava le dimensioni, la potenza e la fisicità del sesso della nostra preda, ma entrambi eravamo convinti che, comunque fossero state, ne avremmo goduto mentalmente entrambi.

Lui mi aiutò a infilare il tubino aderente e poi si inginocchiò ai miei piedi e mi aiutò a calzare le scarpe, con un gesto insolito abbassò ulteriormente il capo fino a sfiorare il pavimento e mi leccò i tacchi altissimi. Quel gesto così simbolico mi fece sentire una regina ed ebbi la netta sensazione che da quella sera in poi, per mezzo della mia femminilità straripante, avrei scalato le montagne più impervie e che nessuna vetta mi sarebbe stata preclusa. Ovviamente di quella sensazione non ne feci parola, non era assolutamente il momento di intavolare un discorso così complicato e pieno di strascichi e dubbi.

Quando finii di truccarmi lui mi porse il soprabito, il cappello e la borsa. Mi guardai di nuovo nel grande specchio di ingresso, seguii con lo sguardo maschile le forme del mio sedere e l’incavo della mia schiena, soddisfatta bagnai il mio collo con cinque gocce di Chanel n. 5 e chiesi ad Giulio di guardarmi attentamente da capo a piedi. Lui mi rispose: “Sei perfetta, amore!” Ero pronta!

Uscimmo di casa alle sette e venti, ovviamente Giulio mi avrebbe fatto da autista, lasciandomi preventivamente a cento metri dall’albergo. In auto, in mezzo al traffico caotico di una Roma invernale, evitò di toccarmi le gambe come faceva di solito. Fu a quel punto che avvertii la prima sensazione strana e mi chiesi se quella serata fosse stata davvero il nostro collante o un inesorabile distacco. Poi però optai per una ragione molto più prosaica ossia che l’unica preoccupazione di mio marito fosse stata quella di non sfilarmi la calza.
Durante il tragitto Giulio mi diede le ultime istruzioni e mi disse che lo scarno programma della serata avrebbe previsto un aperitivo nella hall dell’albergo e poi l’intrattenimento nella camera 412. Ecco sì, quella che sarebbe stata la mia prima scopata ufficiale e di conseguenza le sue prime corna, la chiamò asetticamente: “intrattenimento”.

Mi lasciò in Piazza Barberini all’angolo con Via Sistina. Lui avrebbe passato la serata al cinema, cenato da solo nel nostro solito ristorante e poi avrebbe aspettato un mio messaggio in un locale vicino Via della Scrofa. Il giorno dopo entrambi avevamo preso un giorno di ferie per cui mi disse di non preoccuparmi per l’ora tarda, mi avrebbe aspettato fino a mattina se fosse stato necessario.


*****

Poco meno di due minuti ed ero davanti all’Hotel Hassler. Ebbi un attimo di esitazione, mi voltai, respirai profondamente e guardai la meravigliosa scalinata di Piazza di Spagna. Sì, Roma era bella, romantica, signora affascinante, virtuosa e nel contempo un po’ mignotta come mi sentivo io quella sera. Mi avvicinai alla vetrata d’entrata dell'Hassler, un uomo in livrea mi guardò portandosi la mano al cappello grigio in segno di saluto. Pensai: “Chissà quante ne avrà viste di puttane d’ogni ordine e grado passare da questa vetrata… chi per soldi, chi per ambizione e mi consolai pensando di non appartenere a nessuna di quelle categorie…” Mi guardai attraverso il grande specchio all’entrata, oh sì ero bella! Certo lo sapevo che l’etichetta non avrebbe mai consentito un cappello di sera, ma mio marito conosceva i gusti di Massimo Pezzi, ed ogni volta la richiesta all’agenzia indipendentemente dal resto, era categorica e sempre la stessa: “Una escort elegante col cappello”. In quel momento avrei scommesso mille euro che quel cappello così insolito per la sera non me lo sarei tolto per tutta la serata e dico tutta.


Scivolai leggera ed altezzosa calpestando appena il tappeto rosso che mi guidava verso la hall. L’appuntamento era sui divani morbidi proprio lì di fronte al bar. Massimo Pezzi era seduto alla sinistra del bancone un po’ in disparte, come da accordi una rosa gialla a gambo lungo giaceva sul suo tavolino, ma ovviamente feci finta di non riconoscerlo e mi guardai intorno. Lui si alzò agitando la rosa per attirare la mia attenzione. Mi chiesi come facesse a sapere che fossi io la escort che stava aspettando. Forse esperienza, forse fiuto maschile o solo banalmente, mi dissi, che chiunque riconoscerebbe a distanza siderale chi fossi, ossia colei la quale stava portando il suo sesso a domicilio ad un cliente dell’albergo.

Mi avvicinai. Ci presentammo. Gli dissi di chiamarmi Camille, già per una sera decisi di farla rivivere e la cosa mi intrigò molto. Lui mi invitò a sedermi sulla poltrona di fronte. Mentre sprofondai dentro quella morbidezza di pelle rossa guardai il grande orologio antico sulla parete. Erano le otto e trenta in punto. Lui mi fissò, affascinato come se non avesse mai visto una donna elegante e disinibita, ma allo stesso tempo notai un velo di sorpresa nel suo sguardo. Mi chiesi il motivo, pensai a come si sarebbe comportata in quel momento una professionista, ma pensai anche al mio rossetto rosso fuoco, alle mie unghie lunghe dello stesso colore, alla mia cavigliera e a quale effetto potessero fare ad uno uomo che aveva già incontrato tante escort seduto proprio su quella poltrona.

Di certo era un bell’uomo, ma questo lo sapevo già, dato che negli ultimi giorni più volte l’avevo visto in foto col suo gessato grigio nell’album aziendale della chat interna. Rammentai anche di averlo visto una volta di persona, ma non ricordai l’occasione. Mi venne anche il dubbio di aver parlato con lui. Ma in quel momento ero colpita dalla sua capigliatura folta con qualche filo bianco, dai suoi occhi verdi espressivi, dalla sua meravigliosa abbronzatura, dai gemelli d’oro ai polsini, dal Rolex in bella evidenza e dai suoi 57 anni portati da Dio. Cercai di fissare l’immagine, non perché ne fossi particolarmente attratta, ma solo per fissarla nella mia mente e poterla poi descrivere dettagliatamente a mio marito.

Lui non mi tolse gli occhi di dosso ed io con studiata malizia accavallai le gambe e lasciai che l’orlo del mio tubino aderente si alzasse quel poco per mostrare impercettibilmente il bordo più scuro della mia Philippe Matignon e per fargli immaginare, se ancora non lo avesse capito, che dopo quel meraviglioso vedo e non vedo c’era solo il Paradiso terrestre, ossia la sua Eva per una notte.
Le sue difese iniziarono a cedere ed io cercando di essere più disinvolta possibile, presi la rosa dal tavolo ed esclamai: “Tutte le rose profumano per mestiere.” Lui fece un piccolo cenno di assenso con la testa, non avevo più dubbi, era letteralmente trafitto dal mio fascino, o più probabilmente, dall’idea di portarmi il più velocemente possibile nell’alcova n. 412. Con la voce impastata mi invitò a prendere qualcosa. Sprofondai sulla mia poltrona in modo che il mio velo di calza più scuro fosse ancora più evidente e con soddisfazione mi dissi che mai avrei creduto che i ruoli tra Amministratore Delegato e dipendente della stessa azienda si potessero ribaltare in quel modo e in così poco tempo.

Quando il cameriere poggiò sul tavolino il vassoio d’argento con due coppe di Ruby Diamond Cocktail la situazione era leggermente cambiata. Era bastato che parlasse del suo lavoro, dei suoi due figli, dei suoi hobby, del golf, della sua casa immersa nel verde, della sua città ovvero Bologna, per entrare nel suo ruolo di uomo di potere, ricco e affascinante. Mi disse da uomo sicuro del suo fascino che solitamente non gli serviva pagare le donne per farci l’amore, ma che la mia presenza era solo un modo per avere compagnia e non passare la serata in completa solitudine.
Cercai di fare attenzione alle sue parole, ma mentre parlava, continuavo a percepire dal suo sguardo un misto di sospetto e cautela. Ripassai a mente lo scarno programma della serata, a quel punto, finito di consumare il cocktail, il prossimo punto prevedeva direttamente la stanza 412. Aspettai l’invito, ma Massimo Pezzi non si mosse, mi scrutò e alla fine mi chiese: “Io e lei ci conosciamo, vero?”

Avvertii un tonfo, secco e lacerante, nella parte più profonda del cuore. In un flash ripassai a memoria tutte le occasioni di lavoro tramite le quali mi avrebbe potuta vedere senza che io me ne accorgessi. Milano, Roma, Bologna… Solo a quel punto mi venne in mente una riunione di poche decine di minuti quando lui era ancora il Vice Direttore della filiale di Bologna ed io una neoassunta alle prime armi. Che stupida! Certo che mi aveva vista! E non solo! Ricordai anche i suoi complimenti per la mia relazione sui nuovi Fondi di Investimento Green, ma non mi persi d’animo e contrattaccai: “Ho una faccia così comune?”
Mi guardò oltre il trucco, il suo sguardo penetrante mi spogliò completamente: “Non direi, lei è una donna fuori dal comune! Sa io di belle donne me ne intendo e credevo di averla già incontrata, ma forse mi sbaglio.” Scampato il pericolo respirai profondamente e mi rilassai.
Ma lui non mi diede tregua: “Eppure ho la sensazione di averla già vista.”
Cercai una frase a caso: “Non penso, è da poco tempo che faccio questo lavoro e ricordo perfettamente tutti i clienti che ho incontrato finora.”
Lui non si fece scappare l’occasione: “Spero non tanti e comunque le devo confessare che lei è così charmant che non mi ricorda affatto una escort.”
Il colpo basso arrivò immediatamente nella mia pancia. Lo sentii così potente che non mi restò che muovere leggermente le gambe in modo che la stringa del mio reggicalze si materializzasse come in un incanto in un infinitesimo di secondo al suo sguardo indagatore. Lo guardai maliziosamente. Mi accorsi dell’effetto. Colpito e affondato!
A quel punto non gli restò che aggiustare il tiro: “Che ne pensa se continuiamo a bere i nostri cocktail in stanza?” Ecco, era proprio quello che volevo sentirmi dire. Mi alzai immediatamente, del resto la poltrona da morbida e accogliente era diventata improvvisamente scomoda e piena di spine.

Lo precedetti precaria sui miei tacchi sottilissimi tra i tavolini della hall, qualcuno mi guardò, l’espressione era eloquente, sapeva che tra non molto mi sarei fatta scopare da quell’uomo che mi seguiva.
Camminavo lungo il corridoio di marmi lucidi venati di verde e grigio cercando di ondeggiare lievemente con un sinuoso movimento del bacino, certa che lui non stesse chiedendosi dove mi avesse vista, ma ammirasse solo le mie curve e che i suoi pensieri impazienti, adagiati sul mio sedere, avevano già preso l’ascensore e aperto la stanza n. 412. Cercai di intuire la coda di quel pensiero e mi chiesi quanta puttana ci fosse in quel movimento invitante e quanta troia si annidasse sulla cucitura della mia calza nera che speravo fosse ancora dritta e sensuale.

Mi coccolai al pensiero che lui non potesse fare a meno di definirmi in quel modo, ma ancora di più, ripensai alla sua frase: “Ci conosciamo?” Quella domanda banale aveva aperto incredibili scenari di inquietudine, ma allo stesso tempo di incommensurabile e sana trasgressione. Se fossi stata una semplice escort sarebbe stato così tutto banale, piatto e materiale, del resto non ci vedevo nulla di provocatorio ed eversivo quando una donna si offriva per denaro e un uomo pagava e comprava quella merce. Ma se davvero lui pensasse di conoscermi, ma se davvero sapesse che ero la moglie di un suo sottoposto nonché una sua dipendente le cose avrebbero acquistato una valenza imprevista e di gran lunga più eccitante. Allora sì che lui non sarebbe stato un banale cliente ed io sarei diventata più puttana di una escort, più troia di qualsiasi donna che si concedeva ad uno sconosciuto. Lungo quel corridoio mentre continuavo ad accalappiare tutta la sua attenzione cercando di distoglierlo da altri dubbi, il mio unico pensiero fu: “Che ne penserebbe Giulio?”

Me lo chiesi di nuovo quando prendemmo l’ascensore convinta che il gioco seppur eccitante sarebbe diventato troppo pericolo e quindi a tutti i costi dovevo continuare nella parte, non dovevo recedere di un millimetro da quel gioco che io e mio marito avevamo così meticolosamente progettato ed io voluto. In ascensore presi la sua mano e la portai sul mio seno chiedendomi se una escort si fosse mai lasciata andare ad un gesto così poco professionale, ma in quel momento desideravo dargli la misura di quanto mi sarei potuta concedere. Aspettai una sua contromossa, ma lui rimasi distante con la mente, forse stava ancora pensando dove cavolo mi avesse vista oppure perché la moglie di un suo dipendente si stesse concedendo in quel modo. Finalmente arrivammo al piano e lui da vero gentiluomo si fece da parte per farmi scendere. Mi chiesi: “Ma se davvero mi crede una escort avrebbe mai usato quest’accortezza?” Non feci in tempo a rispondermi. La stanza 412 era davanti all’ascensore.


*****

Entrai in camera e cercai di indovinare quale avrebbe potuto mai essere la prima mossa di una prostituta. Dopo aver poggiato la borsa sulla poltrona di sicuro non avrebbe controllato il bagno o la morbidezza del materasso. Forse si sarebbe seduta sul bordo del letto aspettando. Così feci. Lui si tolse la cravatta e attraverso lo specchio mi sorrise. Mi domandai se fosse di natura silenzioso, oppure se il suo silenzio fosse dovuto ad una naturale inibizione al cospetto di una bella donna che non sembrava una escort oppure se il suo mutismo fosse solo dovuto ad una pericolosa diffidenza nei miei confronti. Optai per tutte e tre le risposte incitandomi a fare qualcosa che sapesse di prostituta. Comunque risposi al saluto e sul tavolino di lato notai il secchiello del ghiaccio con una bottiglia di buon Ferrari d’annata.

Se non fosse stato per quel: “Ci conosciamo?” sarebbe stata una serata fantastica e soprattutto Giulio sarebbe stato fiero di me ed orgoglioso della sua donna finalmente troia. Giulio? Ah già mio marito, l’avevo quasi dimenticato! Pensai a cosa stesse facendo, percepii per un instante la sua ansia rendendomi conto che ero stata io a coinvolgerlo! Immaginai quanto fosse maledettamente erotico pensare che, grazie al bel signore che avevo davanti, Giulio sarebbe entrato ufficialmente a far parte del club dei mariti consapevoli e cornuti. Del resto lo aveva detto lui, constatando la morbida apertura della mia fica, che se non fosse stato per la nostra mente sarebbe stato maledettamente facile entrare in quel club. Ma noi ora quello stadio mentale lo avevamo ampiamente superato e mai mi sarei perdonata se avessi fallito a pochi metri dal traguardo. Forse mancava un minuto oppure un’ora ed io ancora seduta sul bordo del letto, mi dicevo che non era una questione di tempo o di metri e che Giulio poteva considerarsi a tutti gli effetti già cornuto per il solo fatto di aver accettato e agevolato il mio desiderio.

Mi chiesi cosa avessi dovuto fare per farlo sentire ancora di più cornuto di quanto non lo fosse già e non mi venne in mente altro che pensare ad un’apoteosi di piacere, una deflagrazione che non prevedesse superstiti, simile a quelle bombe che avevo sentito nel cuore di mio marito che emulavano perfettamente quello che mi stavo aspettando. Insomma un orgasmo vero, sacro, intenso e ripetuto più volte, tipo una raffica di mitra senza soste che durasse una notte intera, un’immersione senza respiro che mi prendesse totalmente la carne e a mio marito la testa. Eh sì solo così mi sarei sentita di aver fatto il mio dovere e mi sarei congratulata con me stessa per essere stata l’artefice della salvezza del mio rapporto di coppia. Oh sì perché ormai ne ero più che convinta che l’amore eterno passava per una grande scopata liberatoria dove ognuno concedeva in affitto la sua parte più intima o mentale per non avere rimpianti.

Seduta sul bordo del letto mi stavo calando in quella parte e via via saliva il senso di totale dipendenza da quell’uomo e la totale appartenenza a chi ora mi stava possedendo a distanza al punto tale da lasciarmi godere un cazzo altrui senza neanche il bisogno di guidarmi o di avere in qualche modo una parte attiva. Istintivamente mi sentii sedotta da entrambi e il mio unico desiderio in quel momento non si discostava molto dall’essere sottomessa, violata e dominata per soddisfare entrambi e soprattutto me stessa. Mi chiedevo quanto tempo ancora rimanesse proprio nel momento in cui lui si stava togliendo i gemelli d’oro dai polsini della bella camicia bianca. Pensai: “Ci siamo.” Lui si avvicinò.

Mi fissò per circa cinque minuti di orologio ed io mi chiesi se fosse solo per piacere o semplicemente per constatare ciò che a breve sarebbe diventata la custodia del suo cazzo. Come una navigata professionista sfoderai un sorriso teatrale. Lui mi porse la mano e mi fece alzare e solo a quel punto rammentai che la prestazione prevedeva il pagamento in anticipo. Lui non si scompose, estrasse dalla tasca dei pantaloni il mazzetto di mille euro avvolto in un nastro rosso. Lo poggiò sul comodino sotto la lampada ed io sorrisi ancora senza contare i venti fogli da cinquanta euro l’uno. Del resto mi dissi che non era assolutamente importante il contenuto, ma il pacchetto stesso, simbolo di una compravendita e del mio diritto di sentirmi ufficialmente una troia.

La mia richiesta così diretta non lo smosse minimamente anzi sembrò compiaciuto perché quel gesto così materiale e venale, seppure lo riportasse alla dimensione di cliente e ribadisse la giusta distanza tra noi, gli dava il sacrosanto diritto di usare il mio corpo a suo piacimento e di considerarsi da quel momento in poi unico beneficiario di un piacere immediato.


*****


Mi guidò verso la finestra, aprì le persiane e mentre guardavamo lo stupendo panorama dei tetti rossicci e notturni di Roma, sentii da dietro le sue mani che accarezzavano delicatamente il mio vestito seguendo la curva dei miei fianchi fino all’attaccatura delle cosce. Lentamente replicò il gesto per tre volte accompagnandolo con un gemito di soddisfazione ed ogni volta aumentò la pressione fino a che quell’orbita così sensuale centrò perfettamente il buco del mio sedere. Ebbi un sussulto e immaginando il piacere che stavo offrendo ai suoi occhi, istintivamente inarcai il bacino porgendolo come un regalo prezioso al mio benefattore.

“Ci siamo!” Pensai. La sua impazienza aveva rotto gli argini e senza assaporare una minima bollicina di Ferrari stavamo entrando nella fase più carnale della serata. Al pensiero mi bagnai come un’adolescente e mi sentii soddisfatta perché in un niente crollarono tutti i miei timori e quelli di Giulio. Quanto avrei voluto che in quel momento mi avesse vista e avesse ammirato nella leggiadra arrendevolezza il sedere di sua moglie che senza più remore si offriva in tutto il suo splendore.
Ad ogni istante immaginai quello che sarebbe successo un attimo dopo e un brivido di caldo mi avvolse quando le sue mani più decise mi sollevarono il vestito e con un gesto esperto e rapido sfilarono il perizoma per ammirare senza più indugi e nella sua interezza la merce acquistata poco prima. Mi calai ancor più nella parte e da finta esperta agevolai l’operazione stringendo le gambe in modo che il perizoma scivolasse magicamente lungo le mie gambe fino alle caviglie.

Sentii la pressione del suo corpo e inconfondibilmente la sua eccitazione di maschio, il suo fiato umido sul collo e contemporaneamente la sua mano a forma di conchiglia, tremendamente esperta, tremendamente decisa, che premeva nei punti giusti del mio sesso e raccoglieva le gocce dense del mio piacere che involontariamente colavano come stalattiti ai primi caldi. Istintivamente aprii le gambe per facilitare il movimento di quelle dita senza però, almeno sperai, sottrarre nulla all’eleganza del mio corpo. Ma lui insistette, infilò le dita e le ritrasse, guadagnando ogni volta un centimetro della mia pelle. Era un gesto tremendamente erotico e nel contempo sacro come se stesse bagnando le sue dita in un’acquasantiera. Lui insistette così tanto che precaria sui tacchi ebbi un forte fremito mentre lui ormai maschio mi spinse in avanti per farmi incurvare.

“Ecco ci siamo!” pensai di nuovo. E dopo meno di un secondo sentii il suo membro farsi spazio tra le mie labbra. Fu solo un attimo, un infinitesimo attimo ed era già dentro. Aveva ragione mio marito. Ci era voluto meno di un secondo ed era stato estremamente elementare passare da moglie a grande troia. Pensai a Giulio e sussurri nella mia mente: “Benvenuto amore nel club dei cornuti consapevoli.” Lo sentivo imperioso scivolare nelle mie intimità e riempire incredibilmente ogni mio vuoto spingendosi negli interstizi più profondi delle mie pieghe più segrete.

Ma fu solo un assaggio e durò il tempo di rendermi conto di quanto quelle meravigliose dimensioni mi avrebbero fatto godere. Lui si ritrasse, si allontanò, mi disse di rimanere in quella posizione, di non muovermi. Stappò la bottiglia di Ferrari, riempì i due bicchieri e mi offrì il calice. Mentre ci gustavamo le bollicine la sua mano tornò a stringere con forza il mio sesso, sentii quasi un dolore, piacevole e di possesso, perché la sua voce profonda esplose come un macigno nelle mie orecchie: “Ti piace vero?” Risposi con un sì interminabile e pieno di piacere. E lui: “Anche a tuo marito piace?”

Eccola la frase che non avrei mai voluto sentire, la frase che avevo temuto fin dall’inizio della serata e che avevo letto nel suo sguardo, ma che ora incredibilmente si infilava nei capillari più periferici. Cercai immediatamente una scusa che non venne. Mi sentii persa, le gambe tremavano, mi resi conto di non essere solo una puttana, ma una perversa femmina in cerca di sesso proibito. Un brivido intenso lungo tutta la schiena tagliò in due le mie parti di sesso e ragione. Allora decisi di reagire con l’unica arma che avevo a disposizione e gli dissi di prendersi quello che gli spettava a prescindere a chi appartenessi, lo incitai a non smettere e lui, avendo già superato il punto di non ritorno, fu ben felice di farlo. Sentii la sua mano lungo il taglio del mio sedere per poi risalire davanti e fermarsi dove esattamente nel mezzo s’annidava il centro di ogni mia voglia.

Ormai aveva scoperto il gioco ed io mi sentii un’adolescente nuda davanti al suo stupratore, indecente ed esposta ad ogni suo volere. Pensai a tutto ciò che sarebbe potuto accadere, a come quella serata rappresentasse il confine tra passato e futuro, ma incredibilmente più ci pensavo e più mi eccitava e più mi convincevo che non mi sarebbe potuto capitare di meglio come mia prima volta. Immaginavo la faccia di Giulio, la sua carriera simile al mio culo proteso e la nostra dignità in pezzi. Per sentirsi troia non basta scopare con un altro uomo, mi dissi. Per sentirsi una grande troia serviva sentire il proprio onore cadere in pezzi, sentirlo sbriciolare sotto i colpi di un maschio che in quel momento rappresentava in tutte le sue forme il potere che avevo negli anni sempre cercato nei tanti letti in cui mi ero stata.

Lui salì in cattedra, ormai era cosciente del suo potere e che avrebbe potuto permettersi di tutto. Le sue dita uscivano ed entravano, sentivo i suoi pollici ben piantati e fermi tra le mie labbra, era una specie di tortura, ma sapevo perfettamente che il mio compito fosse aspettare. Sentivo l’ebbrezza del ricatto, l’essenza della costrizione di quel gioco che in quell’istante era saldamente nelle sue mani.
Si inginocchiò scrutando le mie intimità, pensai che in quel momento non fossero più sufficienti l’eleganza dei modi e gli atteggiamenti da troia, il suo intento era solo quello di vedere cosa ci fosse tra le pieghe più scure di una moglie che si offriva sapendo benissimo tuttavia che l’unica differenza, rispetto alle tante donne che aveva usato finora, era solo la totale disponibilità di quanto potessi concedermi. Del resto ero io quella che doveva comprare il suo silenzio e non avendo più nulla da perdere seguii l’istinto più rapace come fosse l’ultima scopata della mia vita.

Sentii il mio corpo cedere alla pressione delle sue dita, al ricatto immorale che inconsapevolmente mi attraeva. Sentii la lunga miccia partire da lontano, dalla mia testa, dall’anima tutta, la sentii scorrere ardente dentro di me e poi avanzare ed alimentare la fiamma tra le mie cosce, fino ad esplodere tra le sue dita.
Lui era estasiato, quasi ipnotizzato da tanto ardore, da quel vulcano che eruttava lingue di fuoco, allora avvicinò la sua bocca ed io sentii la sua lingua impazzita che risucchiava il vortice di piacere e beveva, annusava e leccava la lava densa. Subito dopo ebbi il mio primo orgasmo violento sulla sua bocca, ma lui ne voleva ancora, mi incitò a non fermarmi, mi scosse finché esplosi di nuovo.

Appena un attimo dopo senza darmi tregua tornò su quel pensiero, non perché fosse sospettoso o diffidente, ma solo perché ora lo trovava eccitante: “Lui lo sa vero? O ti sei sostituita alla escort senza dirglielo?” Certo lui non sapeva per cui prima di rispondere mi interrogai quale risposta lo avrebbe eccitato maggiormente e a quel punto senza avere dubbi lo guardai in faccia e dissi: “Sa.”
Incredibilmente mi baciò: “E perché avete scelto me per il vostro gioco perverso?”
Lo baciai anch’io e dissi: “Perché sei sempre stato nel nostro letto.” Sorrise, non sapeva quanto ci fosse di vero, ma il copione del piacere gli impose di crederci. E allora mi prese per i fianchi, un attimo dopo mi voltò, mi strinse, mi tenne ferma, e come fossi un comodo bersaglio da centrare, mi penetrò entrando e uscendo da padrone e pensando esclusivamente al suo desiderio. Lo sentii ansimare, sentii chiaramente il suo gusto di sentirsi preda di una perversione e quanto fosse più eccitante che essere solo un cliente di una escort. Nel vortice del piacere si spogliò di ogni accortezza scopandomi anima e fica ed io devota allo stesso piacere mi dissi che, se in quell’istante per assurdo lui si sarebbe sfilato e avesse deciso di non farmi godere ancora, non sarebbe cambiato nulla, perché quello che stavo provando era più tremendamente intenso e violento di mille orgasmi a ripetizione.

Sentii il suo ardore, la sua pressione più mentale che fisica, la sfida con se stesso, l’impotenza di arrivare dove avrebbe voluto, come se le dimensioni del suo pene non fossero state abbastanza per possedere una moglie più troia di una escort. Il suo movimento si fece più scomposto, disordinato, preso dall’impeto mi strappò il vestito, il reggiseno, rimasi in calze, cappello, reggicalze e tacchi. Con lo sguardo estasiato mi disse che ero incredibilmente bella, più delle cento escort messe in insieme che si era scopato fino ad allora dentro quella stanza. Ma avvertivo anche una leggera insoddisfazione come se avesse desiderato che quella bellezza svanisse sotto i suoi colpi per diventare solo carne, ossa, essenza dell’oggetto del suo piacere. Allora mi strizzò il seno, mi strinse forte le cosce, come se nel mio dolore trovasse la giusta linfa per possedermi totalmente.

Sentii il suo grugnito d’animale predatore, le sue gocce di sudore sulla mia schiena e poi la sua voce roca, maledettamente erotica che mi diceva porca sapendo benissimo che troia non sarebbe stata la parola giusta. Si fermò un infinitesimo di secondo per raccogliere le energie e poi riprendere, in un crescendo fino all’apice della sua voglia. Mi concentrai per sentirmi pienamente soddisfatta, per urlare insieme nel momento dell’orgasmo, intimamente congiunti, godere all’unisono, né un attimo prima né un attimo dopo, perché le corna non lasciassero dubbi e fossero certe, vere, eterne, ramificate e ben piantate nella memoria e nell’anima di entrambi.

Lo sentii al limite, ma incerto dove sfogare il suo istinto, mi voltò ancora, il suo sguardo mi penetrò gli occhi, vidi nel suo desiderio le cento troie che si era scopato in quella stanza, in quella posizione, pigiate contro il davanzale di quella finestra. Pensai alle loro urla, ai loro sessi a tariffa, bagnati, comodi e reattivi e mi eccitava terribilmente il fatto di essere unica e diversa, il proibito, la suora, la novizia, la minorenne, ma soprattutto moglie troia di un marito coscientemente cornuto. E nei suoi colpi ben assestati sentii l’illecito, qualcosa che andava al di là della legge di un uomo e una donna che si fondono insieme. Forse stava pensando che avrei potuto essere sua moglie e quindi la paura di essere tradito, e allora come un ossesso martellò dentro di me tutta la sua rabbia, gli istanti si confusero, passato e futuro divennero un immenso presente. Mi chiese quante volte mio marito mi aveva fatto scopare da altri, gli dissi che era in assoluto la prima volta, anzi per eccitarlo ancora di più aggiunsi che Giulio mi sta aspettando nella hall. Mi guardò con aria sbigottita come se non si fosse aspettato quella frase o come se fosse troppo per lui, e allora mi mostrò il suo sesso orgoglioso, duro e maschio, ma solo per un attimo perché subito dopo scomparve di nuovo dentro di me.
Nel grande specchio appeso alla parete non riuscii più a distinguere le due figure, i nostri corpi erano fusi in un blocco unico. Sotto quei colpi fitti mi stavo liberando di ogni scoria, mi sentivo leggera come una piuma, mi parve di non aver peso e danzai mentalmente nell’aria e fisicamente planai ripetutamente sui suoi fianchi con le gambe divaricate.

Lui mi martellava e colpo su colpo cercavo di agevolarlo e resistergli, erano colpi secchi, come uno sparo all’alba nella brughiera, tonfi sordi della mia carne nuda contro il muro, sentii la mia voce incitarlo e la sua che mi ordinava di non fermarmi. Appiattita contro quella parete lievitò di nuovo il mio piacere. Questa volta fui io ad incitarlo di non fermarsi, a battermi, a scoparmi come se davvero fossi l’ultima sua donna e fosse l’ultimo giorno e non ci fosse altro domani che quel presente. Eravamo perfettamente uniti, in simbiosi, perfettamente in un magico incastro come se la natura ci avesse creati e modellati pensando a quell’incontro.

Solo a quel punto lui rammentò che in quella stanza c’era anche un letto e un secondo dopo, lui sopra di me, nella posizione classica di femmina che accoglie, di maschio che pretende, sentii il suo respiro caldo, intenso, grosso, sentii i suoi denti affondare nella mia carne, il suo cazzo diventare protagonista assoluto della scena seguente. Urlai, lo pregai di finirmi, di non lasciarmi ferita, di lasciarmi un marchio indelebile così che tutti potessero sapere quanto fossi stata troia, quanto mi fossi fatta scopare da un altro con la benedizione di mio marito. Le mie parole risuonavano come nettare per la sua eccitazione, sentii il suo cazzo di marmo, duro dalle parti del mio cuore, la sua bocca nella mia, il suo sudore acido, l’odore forte del mio orgasmo, le mie urla viziose, la saliva fondersi, i capelli bagnati, i morsi sul collo, il cigolio del letto, le pareti crollare quando in un fremito interminabile lui esplose dentro di me inondandomi tutta.


*****


Subito dopo nel silenzio profondo della stanza la sua voce profonda e senza più energia mi disse: “Sei stata fantasticamente donna e meravigliosamente mia!” Così dicendo prese in mano le mie mutandine e con un gesto plateale le strinse e le annusò profondamente. Ebbi un sussulto, ma non parlai. Di tutta risposta mi alzai e per ribadire le nostre distanze presi il mazzetto di euro sopra il comodino e afferrai da terra il mio reggiseno.
“Questo non lo vuoi?” Mi porse il perizoma.
“Se vuoi te lo lascio come ricordo.”
“Grazie, ma vorrei qualcosa di più di un ricordo.”
Si appoggiò alla spalliera del letto e mi osservò compiaciuto mentre mi infilai a fatica il tubino aderente: “Non ti fai la doccia?”
“Lui mi desidera così. Vuole sentire l’odore della sua donna che si è concessa ad un altro uomo.”
Non era vero, ma lo dissi per scandalizzarlo e lui rimase a bocca aperta. Sapevo di averlo colpito, ma fece finta di niente e riprese: “Sei stata magnifica…”
Cercai di sviare: “Credevo che dopo l’amore mi prendessi a male parole.”
Lui insistette: “Vorrei che non dicessi a tuo marito che ti ho riconosciuta.”
Lo guardai con aria incredula: “E perché mai?”
“Avrei piacere se ci rivedessimo, ma questa volta in incognito e senza la sua complicità.”
Sorrisi maliziosamente e continuai a vestirmi abbassando lo sguardo. “Non credo sia possibile.”
Lui si alzò mi accarezzò il viso e mi tenne stretta a sé: “So che ti è difficile non dire a lui che ho scoperto il vostro gioco, ma allo stesso tempo penso che ti sarà facile incontrarmi di nuovo a sua insaputa.”
Avrei voluto ripetergli che con Giulio ci amavamo alla follia e il nostro gioco non prevedeva il tradimento, ma, forse per liberarmi dall’imbarazzo e per togliergli dalla mente l’idea che fosse stato solo usato, annuii con la testa.
“Davvero tuo marito ti sta aspettando nella hall?”
Sorrisi: “Oh no, avresti potuto incontrarlo e non sarebbe stato opportuno. L’ho detto solo per eccitarti e allungare il piacere di entrambi.”
Lui non resistette e mi baciò: “Lo vedi che sei stupenda? Tu sai toccare le corde più tese della seduzione.”
Incredibilmente mi lasciai baciare e aprii automaticamente le mie labbra quando sentii la sua lingua.
Fu un bacio meraviglioso quasi d’amore. Sebbene mi fossi concessa come non mai, nonostante avessi in bocca e nel sesso il sapore del suo membro, incredibilmente lo sentii come il primo vero atto di infedeltà verso Giulio.
Terminato il lungo bacio mi ripresi: “Vuoi scoparmi ancora?”
Lui non rispose e allora lo provocai: “In effetti la cifra che hai pagato ti dà diritto ad avermi per l’intera notte.”
Lui mi abbracciò: “Tu non sei una escort. Io non ho nessun diritto su di te. Ora desidero solo rivederti fuori da questo gioco.”
Mi sembrò così tutto incredibile, avevo paura che quel gioco mi prendesse, anzi avevo paura di uscire fuori dal gioco per cui lo salutai, presi il mio soprabito, la borsa ed uscii.


*****

Camminai lungo il corridoio di marmo, ad ogni specchio che incontrai mi osservai, ma non vidi nulla di diverso. Mi chiesi cosa mai avessi dovuto fare per essere riconosciuta come una puttana. Non presi l’ascensore, scesi le scale a piedi. Dovevo sentire il rumore dei miei tacchi, rendermi conto di quella che ora ero. Mi concentrai, provai a rivivere le sensazioni di quando lui era entrato come una lama in un burro. Quello era l’atto ufficiale, il momento in cui avevo fatto di Giulio un cornuto consapevole, ma incredibilmente non riuscivo a pensare al sesso e a quanto mi fossi concessa, ci ritornai ancora, ma l’unico mio pensiero riguardava la sua proposta. Mi voleva come la sua amante esclusiva e segreta. Quello davvero non lo avevo previsto. Percepii un brivido caldo intenso tra le mie cosce come se fossi stata in astinenza da mesi. Addirittura pensai di tornare indietro, bussare alla stanza 402 e ricominciare da quel bacio. Feci due passi indietro, lo desideravo davvero, essere di nuovo scopata, ma avvertii un piccolo sbandamento e mi aiutai con il corrimano della scala, a quel punto scossi la testa e ripresi a scendere lentamente pensando quanto il concetto di amante fosse ancora più coinvolgente e trasgressivo di quello di troia!”


GIULIO

Fuori dall’hotel la serata era fredda. Il tizio in livrea mi guardò con deferenza, mi fece piacere pensare quanto fossi inarrivabile e che da quella sera appartenevo di fatto al club esclusivo delle mignotte d’alto bordo. Giulio era lì ad aspettarmi. Salii in macchina, ma incredibilmente non mi chiese nulla. Vero, forse non servivano le parole, bastava quell’odore forte di sesso che invase l’abitacolo. Comunque ci baciamo, poi mi annusò il collo, il seno, mi chiamò amore.
Avrei voluto non dirglielo, avrei voluto che tutto filasse liscio così come lo avevamo immaginato. Magari distesa nuda sul nostro letto e che lui mi guardasse in penombra e ammirasse i miei lividi per rendersi conto di quanto fossi stata sua, quanto fossi stata quella sera la sua femmina speciale. Per poi annusarmi la pelle più morbida delle mie cosce e assaggiare le tracce del seme dell’altro ancora caldo per sentire inconfondibilmente il sapore aspro e dolce della nostra salsa piccante.

Ma non potevo tacere: “Mi ha riconosciuta, sa chi sono e di chi sono moglie!” Lui fermò la macchina e mi guardò con gli occhi spiritati: “Ma che dici?” Non riusciva a crederci. In pochi attimi il suo viso diventò duro, severo, il suo pensiero andò oltre, all’ufficio, alla sua carriera, alla sua faccia, al suo onore. Iniziò ad imprecare. Era fuori di sé. Cercai di tranquillizzarlo, gli dissi che Massimo Pezzi si era comportato da gran signore e che mi aveva assicurato che nessuno avrebbe mai saputo, ma la sua espressione non cambiò, gli stava crollando il mondo addosso. Mugugnò frasi incomprensibili, addirittura pianse. Poi assunse una faccia da cane bastonato, si toccò più volte i capelli guardando fisso il muro davanti a noi.
“Scusa e tu ci hai continuato a scopare? Non sai che significa questo per me?”
Ovviamente non stava pensando a me, il fatto che io mi fossi concessa totalmente passò in secondo piano. Ora pensava solo a se stesso e quali sarebbero state le conseguenze.
Anzi urlò e iniziò a sbattere violentemente i pugni sul volante: “Cazzo non è possibile!”
Gli ricordai quando Massimo Pezzi mi aveva vista.
“Non ci credo, è successo tanto tempo fa, non è possibile che si sia ricordato di te!”
A quel punto gli saltò in mente un dubbio atroce che mise fine a quella serata: “Sei stata tu a dirglielo vero?”
“Ma sei matto? Cosa vai a pensare?”
“Dai dillo, ti è piaciuto scopare come una zoccola con lui e mi hai messo alla berlina! Ora sarò lo zimbello di tutta l’azienda!”

A casa ci spogliammo in silenzio senza guardarci, ero incazzata, quell’accusa mi girava nella testa come un mulinello. Per la sola nostra esclusiva complicità avrei voluto dirgli anche della proposta oscena che Massimo Pezzi mi aveva fatto, ma a quel punto avrei solo alimentato le sue farneticazioni. Muta andai in bagno e mi feci una doccia, desideravo solo togliermi di dosso quell’odore ingombrante. Quella sera feci fatica a prendere sonno.
La mattina, quando mi svegliai, lui era già in piedi. Feci colazione da sola, ripensai alla serata, scossi la testa, certo avevamo pensato a tutto, il programma era perfetto, ma come al solito il diavolo aveva fatto le pentole e si era dimenticato dei coperchi. Lui uscì senza dirmi nulla. Ovvio che non gli era passata e che in qualche modo mi credeva l’unica colpevole di quello che era successo.

Da quel giorno Giulio si allontanò da me. A casa ci scambiavamo solo frasi di circostanza e da quella volta non facemmo più l’amore. Sfuggente e perennemente arrabbiato col mondo iniziò a trattarmi male, a bere, a uscire tutte le sere e a rincasare tardissimo. Mi odiava e vedeva in me il simbolo della sua avventata perdizione e non aveva tutti i torti visto che ero stata io a portarlo su quella strada. Insomma fu un periodo davvero difficile, di grande disagio e di grandi sensi di colpa.
Iniziai a frequentare un mio vecchio compagno di scuola, poi il veterinario della mia gattina, ma erano frequentazioni superficiali utili solo per distrarmi. Sinceramente non mi davo pace per come fosse andata la nostra storia e per un breve periodo caddi in una profonda depressione. Ogni volta che ripensavo a quella sera mi chiedevo cosa avessi potuto fare di diverso e dove avessi sbagliato, ma il mio vero problema era Massimo Pezzi! Lui da quella serata non aveva smesso di scrivermi e non passava giorno che non mi mandasse decine di email tramite la posta interna dell’ufficio. All’inizio le cestinavo senza leggerle, ma un bel giorno mi decisi a dargli una piccola chance. Certo se mio marito si fosse comportato in maniera diversa mai e poi mai avrei accettato di incontrarlo nello stesso albergo all’insaputa di Giulio.

Prendemmo un drink seduti sullo stesso divano della volta prima e poi, salimmo nella stanza 412. Lui mi aveva assicurato che tra noi al massimo ci sarebbe stato solo un bacio, ma poi, per volere di entrambi ci lasciammo andare e fu sesso vero, sorprendendoci entrambi di quanto il ricordo di quella prima volta fosse una fonte inesauribile di eccitazione. Soprattutto Massimo non riusciva mentalmente a superare quell’immagine e a capire come una donna potesse concedersi ad un altro uomo per amore del proprio marito. Nel tempo cercai più volte di spiegargli la sensazione perché francamente anche a me riusciva difficile comprendere razionalmente cosa avessi fatto. Ben presto diventammo amanti e quella che credevo una piccola chance diventò l’inizio di una bellissima storia di sesso. Quell’impasse mentale, quel meccanismo perverso, gli procurava delle reazioni incontrollate e allora mi prendeva e mi pretendeva fino allo sfinimento con la stessa intensità della nostra prima volta. Facevamo l’amore ovunque, nelle toilette dei ristoranti oppure nei parcheggi dei centri commerciali e tutti e due sapevamo benissimo che il suo grande appetito sessuale derivava proprio da quello scandalo interiore. Più volte mi chiese quale fosse stato il processo mentale di Giulio, quale il mio, quando lo avevamo deciso, cosa ci eravamo detti e soprattutto la strada più breve per arrivare a quella totale complicità. Nonostante le mie risposte sempre più dettagliate non se ne liberò mai, anzi divenne per lui una vera e propria ossessione che lo portò via via ad una vera impotenza. Non riuscendo più a scoparmi e a controllarmi mentalmente iniziò a picchiarmi prima e durante l’amore, insomma i suoi comportamenti divennero così violenti che decisi, anche se a fatica, di diradare quegli incontri.

Andammo comunque avanti per qualche mese all’insaputa di mio marito, finché Giulio tornò in sé e pentito per il suo comportamento, iniziò di nuovo a parlarmi e a non uscire più la sera. Non seppe mai della mia relazione con Massimo, ma tornammo sull’argomento sapendo entrambi che l’unica cura possibile sarebbe stata quella di rivivere quella serata per convincersi entrambi quanto fosse stato solo uno stupido gioco venuto male. Così una sera dopo l’ufficio ci ritrovammo, comodamente seduti nella hall dell’Hassler bevendo un Ruby Diamond Cocktail per poi salire insieme nella stanza 412. Da quella sera Massimo Pezzi fu solo uno spiacevole ricordo.


 
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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