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RACCONTI
 
 

I racconti di LiberaEva
Gilda
Memorie di una signora per bene
 





 
 


MARCEL BERNARD

Certo ci vollero mesi per ritornare con Giulio ad uno standard relazionale accettabile per cui nel frattempo cercai di distrarmi e il pilota del quarto piano non fu il solo condomino con cui legai anche se per poco tempo. Chi mi aveva da sempre incuriosito era l’inquilino del primo piano, un affascinante quarantenne francese, scrittore di racconti erotici, Marcel Bernard. Avevo scoperto che fosse uno scrittore facendo una ricerca su internet a da quella volta iniziai a farci dei pensieri ed a seguire i suoi spostamenti. Lo vedevo ogni mattina alle nove in punto insieme a sua moglie Rosalie, un’ex modella, uscire dal portone ed andare a far colazione al bar sotto casa.

Il locale, proprio di fronte al portone dello stabile, dall’altra parte della strada, era una specie di bar letterario, dove era possibile gustarsi un buon caffè, dei fragranti croissant caldi ripieni di crema chantilly e soprattutto trascorrere in santa pace tutto il tempo a disposizione leggendo libri e riviste culturali di ottimo livello. L’atmosfera era piuttosto riservata e silenziosa con piccoli tavolini dislocati, anche al piano superiore, nelle varie stanzette decorate con velluti rossi, pezzi di antiquariato originali e copie di quadri d’autore.

In quel periodo avevo notato che Marcel usciva da solo e, chiedendo alla moglie del portiere cosa stesse accadendo alla coppia, lei mi rispose che la bella Rosalie aveva deciso di prendersi qualche settimana di vacanza e trasferirsi da sua madre. Ovviamente pensai subito che potesse essere una mia preda, ma la signora mi assicurò che tra loro non c’era mai stato uno screzio e il loro rapporto non era mai stato in crisi.

Sarà, forse era come diceva lei, ma ogni mattina alle nove in punto, osservando attentamente l’affascinante scrittore dalla mia terrazza, cercavo di capire dalla sua espressione quel qualcosa in più che sicuramente era sfuggito alla moglie del portiere. Certo la sua aria era alquanto malinconica, ma del resto non era mai stato un tipo socievole e generoso verso il prossimo. Comunque, una mattina mi feci trovare seduta al tavolo a fianco dove consumava di solito il suo cappuccino. Quando lui entrò misi ben in vista sul tavolo due suoi libri. Lo salutai e lui rispose gentilmente con un inchino e togliendosi il cappello notò immediatamente i libri, sorrise e mi chiese il permesso di sedersi al mio stesso tavolo. Incuriosito mi domandò come facessi ad essere in possesso di quei libri ed io risposi che li avevo acquistati tramite internet. A quel punto gli chiesi consigli su quali dei due avrei dovuto leggere per prima. Lui, perso nei suoi pensieri, come se si fosse svegliato da un lungo letargo, mi disse: “Oh mia signora non credo siano libri adatti ad una donna virtuosa come lei e per giunta sposata.” Beh sì non aveva tutti i torti, ma non potevo certo dirgli che quei libri li avevo già letti ed ora erano solo un pretesto per conoscerlo più a fondo. Dopo un attimo affondò ancora di più la lama chiedendomi cosa ci trovassi nel leggere quel tipo di letteratura.
Rimasi un attimo interdetta, non per la domanda, ma sicuramente per la loquacità del mio interlocutore, visto che le nostre conversazioni fino ad allora si erano limitate al tempo, ai saluti e solo una volta al sistema di irrigazione del giardino condominiale che faceva i capricci. Risposi che non ero particolarmente interessata a quel tipo di letteratura, ma ne ero semplicemente incuriosita per la sola ragione che un inquilino del mio stabile ne fosse l’autore.
Lui insistette: “Posso chiederle allora cosa ci trova?”
Mi prese alla sprovvista e su due piedi cercai di mettere insieme due parole sensate: “Adoro tutto ciò che si distacca dalle convenzioni formali dei rapporti seguendo la sola regola anarchica dell’istinto e del desiderio.”
Ma lui mi gelò: “L’erotismo in quanto trasgressione non può fare a meno delle regole e delle convenzioni.”
“Sì è vero, forse mi sono spiegata male, del resto è il concetto stesso di peccato.”
Lui sorrise: “Esatto. Guardi che ho scritto anche altri testi ben più peccaminosi, purtroppo sono libri introvabili, ma se le interessa il concetto del peccato mi farebbe piacere fargliene dono.”

Ci fu un lungo silenzio, poi fissandomi negli occhi, chiese: “Oggi è una splendida mattinata di sole, avevo intenzione di fare una lunga passeggiata, ma se vuole possiamo salire a casa mia e cercare qualche copia di quei libri.”
Rimasi senza respiro. Più o meno come avevo previsto. Presi fintamente tempo guardando l’orologio e fissando un punto impreciso della strada attraverso la vetrina scura.
“Guardi che non l’assalgo…”
“No, no, non pensavo a questo, ma non mi aspettavo il suo invito… Tutto qui.” Dissi per togliermi dal falso imbarazzo.
“E perché mai? Possiamo approfondire tranquillamente quel concetto che le sta a cuore…”
A quel punto non potevo più sottrarmi, quell’affermazione era a dir poco esplicita, per cui passai al contrattacco: “Sua moglie Rosalie non è in casa?” Finsi sapendo di fingere.
Scosse la testa e a malincuore dovette scoprire le sue carte: “Se mia moglie fosse stata nei paraggi non avrebbe avuto alcun senso farle dono dei miei libri…”

Non aveva finito la frase quando, uscendo e attraversando la strada, sentii la sua mano leggerissima dalle parti della mia schiena. Certo era un gesto cortese per darmi il passo, ma mi fece sentire sua complice come se mi stesse guidando senza il mio permesso, ma col mio tacito assenso, in un posto più mentale che fisico, dove tutto, a proposito di regole e peccato, sarebbe potuto succedere.

Entrammo nel portone e mentre attendevamo l’ascensore sentii pesantemente lo sguardo curioso della moglie del portiere che ci stava squadrando da capo a piedi.
Entrati in casa mi fece accomodare sul divano del suo ampio soggiorno pieno di luce. Guardando la foto di Rosalie bene in vista sul grande mobile di pino russo dissi: “Sua moglie è molto bella.”
“Anche lei lo è, mia cara, e soprattutto è consapevole di esserlo.” Poi la sua faccia s’incupì e guardando la foto della giovane modella riprese: “Come avrà letto le protagoniste dei miei racconti sono donne di una certa età”
“Mi vuole dire che sua moglie è troppo giovane?”
“Dico che lei ha l’età giusta per certe fantasie letterarie e mi fa piacere che abbia accettato il mio invito.”
“Allora potrei essere l’eroina di un suo racconto…”
“Già lo è Gilda.” Disse enfatizzando il mio nome e rovistando in uno scaffale della libreria alla ricerca dei libri promessi.
Colsi la palla al balzo, del resto non potevo farmi sfuggire quell’occasione portata su un vassoio d’argento.
“Quindi pensa di scrivere un racconto sul nostro incontro?”
“Dipende da come andrà questa splendida mattinata di sole, per ora non credo che ci siano sviluppi interessanti per i miei lettori…”
Diventai rossa, ma non per l’impaccio: “Beh immagino che lei stia pensando a come renderli interessanti…”
Non cadde nella trappola, ma notò il mio rossore: “È imbarazzata? Le ripeto non sono il tipo che passa il suo tempo ad assalire le belle signore sposate.”
“Me ne sono accorta. Lei è un tipo molto riservato e le volte che ci siamo incrociati nell’androne ho avuto la sensazione di esserle trasparente. Sbaglio?”
“Sbaglia!”
“Comunque non sono imbarazzata, ho solo caldo.”
Sorrise: “Oh Gilda lei agevola lo scrittore… Ora dovrei dirle, se ha caldo, di togliersi la camicetta.”
“Non porto il reggiseno…”
“Ancora meglio allora…”

A quel punto sorrisi e il bel Marcel si avvicinò, mi accarezzò il viso e con il solo indice della mano destra seguì il mio profilo fermandosi saggiamente poco sotto il mento. Poi attese qualche secondo fissandomi con i suoi meravigliosi occhi celesti. “Beh lei è una donna sposata, so che non dovrei prendermi certe confidenze, ma il fatto che non abbia reagito mi fa pensare di avere qualche chance.”
Non risposi.
“Ok madame, io proseguo molto lentamente, lei può sempre fermare la mia mano in qualsiasi momento.” A quel punto con disinvoltura slacciò ad uno ad uno con una calma esemplare i bottoni della camicetta rosa facendola scivolare delicatamente sui miei fianchi. Ero nuda davanti a lui e la cosa mi rendeva in un certo senso speciale. Mi resi conto che il suo sguardo profondo e attento ad ogni dettaglio non era quello avido e smanioso di un qualsiasi altro uomo che avevo avuto finora. Mi chiesi in sequenza:
“Come avrebbe fatto l’amore uno scrittore di racconti erotici?”
“Mi avrebbe baciata? Avrebbe voluto essere prima stimolato o mi avrebbe immediatamente presa?”
“E come mi avrebbe presa?”
“E soprattutto dove. Lì su quel divano oppure altrove?”
Concludendo che se fosse vero che il buongiorno si vede dal mattino non avrei avuto scampo.

Mi immaginai già a gambe aperte sul tavolo della cucina, oppure sotto la doccia, sul suo letto matrimoniale che immaginavo morbido e peccaminoso o magari sulla sua bella veranda. Insomma stavo diventando impaziente e mi resi conto che dovevo solo aspettare!
Lui se ne accorse e allora iniziò ad accarezzarmi il seno sinistro e poi a stringermi il capezzolo con i due polpastrelli. Mi vergognai pensando alla misura del seno di sua moglie, davvero adatto per entrare dentro una coppa di champagne. Chiusi per un istante gli occhi, rimasi in attesa, ma non avvertiti in quella mano alcun trasporto. Mi toccava sì, ma lo sentivo estraneo come se quel gesto fosse finalizzato alla mia sola eccitazione. Più che in carne e ossa mi sentivo un’eroina di carta, insomma come la protagonista di un racconto che lui in quel momento ne stava descrivendo nei dettagli il desiderio.
Le parole erano le sue dita, il foglio i miei capezzoli che stimolati iniziarono a reagire.

Avvertii il suo fiato caldo sul mio seno e poi ancora più in basso. Ero in estasi, mi sentii bagnare pregustando le sue dita tra le mie cosce, ma in quel preciso istante, come se avesse già compiuto il suo dovere, si adagiò sulla poltrona di fronte e con un sussurro, ma fermo e perentorio, mi disse di avvicinarmi a lui.
“Vedi cara non conosco altro tipo di amore, se non questo.” Non capivo, ma il suo gesto fu eloquente. Si sbottonò lentamente i pantaloni pregandomi di inginocchiarmi e stringere il suo sesso per nulla eccitato. Ero confusa, mi sembrava di vivere una situazione irreale, ma obbedii credendo che la mia disponibilità immediata, la mia dedizione e la sua preferenza per le signore mature lo avrebbero in qualche modo coinvolto. Mi disse di avvicinare la bocca e di prenderlo in quello stato. Era per me un fatto insolito baciare un pene così inerme e molliccio, ma aiutata dalle sue mani che guidavano la mia testa iniziai a dargli piacere.

Solo a quel punto lo sentii coinvolto, mi diceva di fissarlo negli occhi, di rallentare, di velocizzare, di abbondare con la saliva e per quanto fosse possibile di parlare. Alla fine lo sentii grande e duro e mentre assaporavo la mia vittoria personale pensai che quel tappeto rosso fosse il posto più morbido e accogliente per fare l’amore. Lo stavo pregustando, di sicuro mi avrebbe presa con forza spalancandomi le gambe e chiedendomi quanto mi facesse piacere accogliere quel sesso duro da artista.
Sotto la sua guida continuai a dargli piacere, quando senza preavviso sentii il suo fiotto caldo venire abbondante nella mia bocca. Ebbi un sussulto, ma lui mi ordinò di non smettere, di continuare a coccolarlo con le labbra, di assaporare il gusto del suo seme e soprattutto di godermi il risultato di quel miracolo, ossia di ciò che incredibilmente gli avevo suscitato. Lo guardai sorpresa e solo a quel punto mi confessò di quanto tempo immemorabile fosse passato dall’ultima volta che una donna aveva soddisfatto il suo piacere aggiungendo che con la sua bellissima moglie vivevano da anni come fratello e sorella.

Capii il personaggio e solo a quel punto mi resi conto del suo modo egoista di concepire il sesso e che lo scrittore di racconti erotici non avrebbe in alcun modo ricambiato la mia generosità, né su tappeto rosse e né altrove. Mi voltai di spalle per raccogliere la mia camicetta e sorrisi amaramente quando fece le lodi al mio sedere, a suo dire classicheggiante come un’anfora romana. Poi si sperticò in elogi dicendomi di quanto fosse stato bene e, ciliegina sulla torta, di quanto dovessi sentirmi orgogliosa per la sua esplosione di piacere.

Per paura di sentirsi in obbligo di accontentare il mio desiderio rimasto sospeso non mi chiese se fossi stata bene o se in quale modo avessi avuto voglia della sua consistenza. Anzi mi congedò subito dopo dicendomi che le avevo ispirato un personaggio del suo prossimo romanzo, lo avrebbe chiamato col mio nome e descritto con le tette grandi, il sedere voglioso e due labbra voluttuose che avevano imparato in fretta la sublime arte di dare piacere. A quel punto mi resi conto di non essergli più utile, aveva ottenuto quello che sin dall’inizio era il suo desiderio ovvero di scrivere qualche riga in più del suo racconto. Mi alzai, presi i suoi libri e guardai di nuovo la foto di Rosalie, non so perché, ma mi sorpresi a fissare il particolare delle sue belle labbra, carnose e rosse, la vidi come una rivale, ma allo stesso tempo la sentii vicina e solidale visto che ambedue, in circostanze diverse, eravamo state vittime della stessa sua megalomania, tipica negli artisti. Chissà dove fosse ora, certo non da sua madre, come mi aveva detto la portiera, ma in qualsiasi parte del mondo a farsi sbattere da un bel ragazzo suo coetaneo e senza pretese artistiche. Mi chiesi perché mai avessi pensato che uno scrittore di racconti erotici potesse essere un abile amante! Sconsolata mi dissi che quella mattina stimolata solo dalla mia insana curiosità avevo solo preso in bocca l’avanzo e il rifiuto della bella Rosalie.

Quando chiusi la porta alle mie spalle avevo un solo desiderio, ovvero raccogliermi nel mio letto fantasticando su quello che era successo e su quello che avrebbe potuto succedere, ma non c’era stato. Pensai comunque che quella mattina non fosse trascorsa del tutto inutilmente. In fin dei conti sarei entrata in un romanzo dalla porta principale conquistandomi quell’onore con la sublime arte della mia bocca.
In un certo senso avevo passato una mattina diversa, anche se, vedendo le mie labbra e la mia camicetta sgualcita nello specchio dell’ascensore, mi chiesi: “Ne sarà valsa la pena?”


VITTORIO LEZZI

Renato e Marcel dopo quelle volte rimasero un dolce ricordo. Con Giulio invece dopo l’esperienza di Massimo Pezzi tornò tutto come prima. Le nostre trasgressioni si limitavano a qualche chattata più o meno piccante, qualche effusione contro il pilone del garage, ma sostanzialmente galleggiavamo in un appiccicoso mare tremendamente calmo senza alcun fenomeno ondoso.
Renato mi aveva fatto pensare che se fossi stata libera di certo quella storia sarebbe andata diversamente. Cominciai ad avere qualche ripensamento sulla vita coniugale e che in effetti non era adatta a me, ma prima di mandare tutto all’aria proposi a Giulio una terapia di coppia, insomma mi illudevo che un sostegno esterno avrebbe potuto darci uno slancio in più. Lui pigro com’era rifiutò dicendo che non avevamo affatto bisogno di un medico ficcanaso e allora decisi di andare autonomamente da uno psichiatra.

Su consiglio di una collega presi un appuntamento con il dottor Vittorio Lezzi. Lei me lo descrisse come un tipo così affascinante da perderci la testa all’istante. E così fu perché quando entrai per la prima volta nel suo studio al centro di Roma ebbi un vero e proprio sbandamento. Vedendolo mi crollarono addosso tutti i miei bei propositi di terapia di coppia e quant’altro pentendomi già sulla soglia di entrata di essermi vestita in modo così sobrio da sembrare una suora appena uscita da decenni di clausura.
Lui fu gentile, cortese e soprattutto affabile, aveva un modo di porsi differente dagli altri, sapeva imporre il suo carisma senza bisogno all’apparenza di alcuna prevaricazione. Insomma la sua capacità mentale era così smisurata che ti ritrovavi a seguirlo nella più totale dipendenza senza averne la minima coscienza. Sempre in giacca e cravatta, nel suo stile Old English parlava sottovoce senza mai scomporsi. Durante quelle sedute mi ero accorta che quando un argomento destava il suo interesse iniziava a mangiare in modo compulsivo montagne di caramelle alla menta.

Dopo due ore di chiacchierata iniziale aveva deciso che il mio problema fosse ineluttabilmente la mia incapacità di relazionarmi con gli altri e la mia assenza di autostima. Cosa ovviamente non vera visto il mio passato, ma per continuare quella terapia e quindi per avere modo di frequentarlo, non obbiettai alcunché facendo buon viso a cattivo gioco.
Dopo la prima seduta ero già totalmente cotta di lui tanto che uscita da quello studio ebbi l’assoluta urgenza di masturbarmi per cui presi la macchina e non potendo aspettare di arrivare a casa mi fermai sotto un viadotto, presi dalla borsa il mio giocattolo preferito e, riparata da occhi indiscreti lasciai che il mio mini amichetto da passeggio si sostituisse temporaneamente al bel dottore.

Alla quinta seduta, cioè dopo circa tre settimane di terapia, mi presentai da lui alle otto del mattino senza appuntamento con una camicetta trasparente senza reggiseno, un paio di autoreggenti a rete e una gonna strategica così corta che quando mi sedetti mise in mostra il sensualissimo bordo di pizzo della mia calza nera. Non essendo orario di visite mi aprì la moglie, una bellissima donna più giovane di me, alta circa uno e ottanta con un viso da copertina di rivista fashion. La signora molto affabile mi fece accomodare nello studio ed entrando pensai davvero di non avere la benché minima chance, ma il dottore, nonostante l’orario e il mancato preavviso, si dimostrò disponibile e gentile non facendomi pesare per nulla quella mia stravaganza. Mi pregò di sedermi sulla solita poltrona di pelle ed io feci del mio meglio per mettere in mostra tutta la mia sensualità. Ovviamente lui non fece caso al mio abbigliamento e in verità neanch’io, conoscendo il tizio, ci avevo riposto qualche possibilità, ma pensai che, comunque sarebbe andata, mi ero portata avanti col lavoro, nel senso che se avesse avuto la minima intenzione il mio segnale di totale predisposizione era chiaro ed evidente.

Lui mi chiese il motivo di quell’urgenza ed io mi inventai su due piedi con tanto di tremore alle mani una storia che in qualche modo avrebbe scoperto le mie e le sue carte. Insomma gli dissi che la sera precedente ero uscita da casa sbattendo la porta dopo una scenata furibonda di gelosia da parte di mio marito. E poi girando senza meta per la città ero finita in un locale equivoco. Poi seduta al banco, parlando col cameriere, avevo iniziato a bere. Al terzo bicchiere di whisky mi si era avvicinato un tizio vestito elegantemente con una grossa fede all’anulare sinistro e una grande voglia di spassarsela con qualche signora.

Mentre raccontavo cercai di carpire l’interesse o meno del dottor Vittorio Lezzi, così mi interruppi, mi alzai, andai verso la finestra e gli chiesi il permesso di fumare. Lui mi invitò a proseguire prendendo una manciata di caramelle dal vassoio. Beh sì, se non io, almeno la storia aveva fatto colpo. Quindi non ebbi più remore e continuai: “Il tizio ha iniziato a farmi i complimenti offrendomi altro whisky. Poi dopo circa mezz’ora di sfrenato corteggiamento mi ha chiesto se avessi voluto proseguire la serata da qualche altra parte per stare più tranquilli. A quel punto mi ha toccato una coscia, anzi no, il ginocchio ed io mi sono messa a ridere. Sa dottore ero strafatta di alcool e mi girava la testa, ma ero ancora cosciente per rifiutare quella mano, la proposta e dove volesse andare a parare. Allora mi sono alzata, ho preso la mia borsa e sono andata alla toilette. Lui credendo che fosse un invito mi ha seguita, ma per fortuna è rimasto fuori la porta e solo a quel punto mi sono accorta che lì dentro non ero affatto sicura dato che avevo scelto l’unico locale in tutta la città che aveva solo un bagno sia per uomini che per donne. Insomma volevo liberarmi di lui, ma avevo fatto la mossa sbagliata. Non sapendo cosa fare a quel punto ho preso la mia trousse dalla borsa e ho iniziato a truccarmi.”

Vittorio Lezzi, non smetteva di mangiare caramelle. Beh era decisamente curioso di sapere come fosse finita la storia per cui mi invitò a continuare. Dato il suo interesse rincarai la dose: “Ecco, non so cosa sia successo in quel momento, ma mi sono sentita bagnare e tutto ad un tratto mi è venuta voglia di fare sesso. Non lo avevo mai fatto in un bagno pubblico e per me sarebbe stata davvero una esperienza insolita. In fin dei conti in quel momento, dopo la scenata di mio marito, mi convincevo che davvero se lo sarebbe meritato un cornino. insomma dottore mi sono sentita libera di farmi una bella scopata in una toilette anche se sporca e maleodorante. Allora ho finito di truccarmi e per saggiare la sua prossima mossa sono entrata nel bagno più lontano dall’entrata ed ho aspettato. Avevo il fiatone ed ero ben consapevole che fosse una situazione al limite. La luce non funzionava ed ero completamente al buio. Nell’attesa ho iniziato a masturbarmi pensando sempre al mio corteggiatore occasionale… Dottore, avrò aspettato più di dieci minuti… e più il tempo passava più dubitavo sulle mie capacità di seduzione sentendomi semplicemente ridicola ed inutile. Ho anche pensato che fossi stata io a pensare male e che quell’uomo non solo non mi avesse seguita, ma che quelle avances fossero frutto solo della mia fervida fantasia. A quel punto ho fatto pipì, ma quando stavo per uscire qualcuno ha bussato alla porta. Indecisa sul da farsi ho aspettato qualche secondo prima di aprire.”

“E poi cosa è successo?” Dal tono di voce di Vittorio Lezzi mi sentii ancora più incoraggiata a continuare quel bel racconto partorito solo dalla mia mente.
“Avevo dei pensieri contrastanti. Ho provato un forte disgusto verso me stessa, ma allo stesso tempo ero attratta dalla situazione e felice di non essermi sbagliata. Quel leggero toc toc alla porta mi aveva fatto sentire una femmina a disposizione di uno sconosciuto. Non so se riesco a spiegarle la sensazione… Comunque, sarà stata la rabbia, il buio, l’anonimato, l’intrigo, il luogo e non ultima la voglia per cui ho aperto la porta e lui è entrato. Ci siamo ritrovati lì in piedi in quello stretto loculo e lui senza perdere tempo si è abbassato i pantaloni e dalle sue mutande, come fossero un cilindro di un mago, ha tirato fuori un enorme pene duro. Poi mi ha stretto forte la mano e mi ha ordinato di toccarlo per rendermi conto di cosa mi aspettasse. Non ho avuto dubbi, ma soprattutto sono rimasta sorpresa, non avrei mai creduto che in una circostanza del genere avessi potuto suscitare tutto quel desiderio e quella erezione. Sinceramente mi sentivo gratificata ed ho pensato in quell’istante quanto preferissi quel coso in mano alle attenzioni che mi aveva riservato mio marito poco prima. Insomma mi ero eccitata anche se non ho avuto il tempo di pensarci dato che lui mi ha afferrato per i fianchi e mi ha fatto voltare con la faccia verso la porta. Poi mi ha abbassato il collant e sollevando il vestito ha iniziato a dirmi parole irripetibili…”
“Tipo?”
Ecco da quella semplice richiesta capii che l’interesse del dottore non fosse solo professionale per cui feci un’espressione imbarazzata, ma continuai: “Tipo: “Lo vuoi il mio cazzo?” E altre sullo stesso genere. Certo ero tesa, ma disponibile come una bambola gonfiabile. Poi mi ha allargato le gambe e mi ha sussurrato di fare la brava. Mi palpeggiava, sentivo che ci sapeva fare, che non ero stata la sua unica conquista e che chissà quante se ne era fatte in quel modo. Lui era un fiume in piena, mi si strofinava addosso, mi premeva col suo pene duro, poi per prepararmi mi ha penetrata con due dita ed ho pensato che da un momento all’altro mi avrebbe scopata. Ecco ero pronta e lui più di me, ma in quel momento mi sono ribellata, non perché non avessi voglia, ma solo per il fatto che ho pensato che non fosse giusto così, lui si stava approfittando del mio stato d’animo, della mia tristezza, della litigata con mio marito, e non volevo che fosse così facile per lui, così gratis, così aperta. Avevo diritto ad un po’ di amore, un minimo di accortezza, ma in quel modo ebbi la sensazione come se lui avesse bisogno di pisciare ed io fossi un banale cesso. Certo me lo dovevo aspettare del resto non si può pretendere amore in un cesso pubblico! Così ho fatto resistenza ed ho chiuso le gambe. Gli ho urlato di fermarsi, che ero sposata e non potevo farlo. Lui a quel punto si è incazzato, è diventato strano, nervoso, violento, mi ha afferrata con forza e sbattuta contro la porta del bagno. Ho avuto paura che mi violentasse all’istante invece mi ha accarezzato i capelli dicendomi quanto adorasse le bambine dispettose. Mi sono voltata di scatto e vedendolo ancora in erezione l’ho preso in mano pensando che forse me la sarei potuta cavare con la sola mano e che quella sarebbepotuta essere la mia ancora di salvezza. Allora ho iniziato a maneggiarlo prima lentamente, poi sempre più forte. Insomma gli stavo facendo una sega, ma lui non si è accontentato, subito dopo mi ha preso la testa, spinto verso il suo piacere… ed ha voluto che gli facessi un pompino.”

Silenzio. Vittorio Lezzi non spiccicò una parola ed aveva anche smesso di ciucciare caramelle. Pensai che fosse quanto meno disgustato. A quel punto chiusi la finestra e lentamente tornai a sedermi sulla poltrona. E con studiata malizia continuai: “Me lo dica chiaramente dottore… È disgustato vero? Si rende conto che ha una paziente che fa deliberatamente i pompini in un cesso di un bar di notte? Sto disonorando il suo studio, sporcando la sua laurea e approfittando della sua benevolenza. La prego mi giudichi pure, non credeva che fossi capace di tanto vero? Magari qui lei riceve solo signore virtuose… ed ora si starà pentendo di aver accettato di curarmi…”

Lui non rispose subito, anzi prima di farlo si alzò e chiuse la porta a chiave: “Mia cara Gilda, negli anni ho imparato a non meravigliarmi di nulla e poi per quanto riguarda le mie pazienti, di solito, all’apparenza, appaiono tutte virtuose come dice lei, ma poi scavando si scopre questo ed altro. Mi creda!” Ecco lo avevo portato dove mi sentivo più a mio agio: “Quindi mi sta dicendo che altre donne le hanno confessato di aver fatto pompini di nascosto dai propri mariti… Vorrei essere una mosca ed assistere ad uno dei suoi colloqui… No dottore non sono perversa, ma vorrei vedere in faccia quelle donne così perfette ed eleganti che di notte si inginocchiano in una toilette maleodorante per il solo gusto di sentirsi un po’ troie…”

Lui a quel punto mi venne vicino senza sedersi ed io proseguii: “Ma le raccontano anche i dettagli più intimi come ho fatto io?” Mi fissò negli occhi e disse: “Non sia così ingenua, la prego… scommetterei tutto il vassoio delle mie caramelle che lei conosce molto bene le dinamiche intime e rigorosamente private che si instaurano tra il medico e le sue pazienti…” A quel punto decisi di rilanciare: “Comunque credo che lei non ne sia indifferente… e qualche volta a discapito dell’etica professionale si lasci andare, sbaglio?” Così dicendo accavallai le gambe in modo che la gonna si alzasse quel tanto da arrivare al punto del non ritorno. Anche un bambino in quel frangente avrebbe intuito che quella bella signora desiderosa di cure non portasse affatto le mutandine.

Lui era in piedi ed io seduta. Mi disse: “No, non sbaglia.” Poi con voce più roca sussurrò: “Non so se sia vera la storia della toilette, ma di sicuro è stata molto eccitante.” Così dicendo con una mano mi accarezzò il viso guidandolo dolcemente verso di lui e con l’altra abbassò la lampo dei pantaloni e come la prima volta con Maurizio sentii chiaramente il rumore metallico dei dentini della zip. Dopo qualche secondo il suo meraviglioso pene al sapore del pistacchio invase completamente la mia bocca. Nel mentre mi pregò di scoprire il seno in modo che lui potesse ammirarlo e nel contempo di guardarlo negli occhi mentre gli procuravo piacere. Ci misi tutta la mia esperienza e lui venne dolcemente tra le mie labbra nel giro di qualche minuto ed io mi sentii fiera ed orgogliosa d’averlo fatto cedere in così poco tempo. Solo alla fine mentre si puliva con un fazzoletto di carta gli dissi che in effetti mi ero inventata tutto e che come mi capitava ormai da troppo tempo avevo trascorso la serata precedente vedendo alla tv un noiosissimo film americano accanto a mio marito.

Con Vittorio Lezzi andai avanti per molte settimane e come con Maurizio quando entravo lui chiudeva la porta a chiave, come con Maurizio lui impazziva per l’intimo rigorosamente nero, come con Maurizio lo facevamo con sua moglie in casa, come con Maurizio ci volle del tempo prima che si decidesse a prendermi completamente su quella comoda scrivania in noce, come con Maurizio dopo circa sei mesi iniziò a stancarsi e per ravvivare il suo ardore mi chiese di farlo nella toilette di un locale notturno che lui conosceva e che portava il mio nome. Ripetemmo esattamente la scena come gliel’avevo raccontata senza trascurare alcun dettaglio compresa la scena del trucco nell’antibagno, l’attesa, la luce spenta, il mio rifiuto, il suo desiderio, il mio sedere in posizione, i collant strappati, i miei scrupoli di donna sposata fino a che, completamente in preda all’istinto, mi inginocchiavo per il piacere di entrambi.

La lunga e duratura storia con Vittorio, a differenza degli altri incontri estemporanei, mi convinse che la mia condizione di sposata non solo non mi proibiva di essere una vera e propria amante, ma in qualche modo arricchiva le mie voglie di una componente molto più trasgressiva della “botta e via” ovvero il tradimento. Eh già ero finalmente arrivata alla conclusione che per la mia soddisfazione intima, per la mia urgenza fisica e le mie carenze mentali non ci fosse alcun bisogno della presenza di mio marito.

 
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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