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E’ un onore per me intervistare
La Divina sfuggita sempre alla notorietà. La sua ultima
intervista risale al 1929 al cronista del New York Times
Mordaunt Hall.
Sono in soggezione, la sua figura emana un glamour
inconfondibile, impreziosito dalle fattezze del viso quanto mai
espressivo. Il suo carisma è intatto, quel carisma che ha
sedotto generazioni di appassionati di cinema. Forse è proprio
per questo che l'hanno chiamata "la divina", perché donne così
non ne esistono. In lei c'è il duplice aspetto di dominatrice e
dominata.
Mi riceve nella sua villa poco fuori New York, fuori dalla
finestra scorgo un pastore tedesco che gioca con un bastone
tenuto in mano da un inserviente in livrea.
Siamo sedute una davanti all’altra, ma non ci sono parole... La
guardo senza farmi accorgere, non sembra una donna, ma un
angelo... La sua gelida bellezza senza tempo, la sua voce
sensuale, il suo sguardo magnetico, la classe innata.
Nonostante io sia a due passi da lei, mi sembra di vederla
attraverso lo schermo, sfumata in un bianco e nero onirico, con
il suo alone di mistero, dea irraggiungibile e nello stesso
tempo già raggiunta.
Stiamo gustando un caffè americano, ecco anche in questo
frangente vedo il suo enorme talento drammatico! Una grande
donna in natura che mai una macchina da presa ha avuto l'onore
di riprendere.
Parla con un filo di voce ed io mi adeguo, quasi sussurro le
domande.
Madame, lei nasce in Svezia da una famiglia di origini molto
umili.
Sono figlia di un netturbino e di una sarta, mia madre
veniva dalla Lapponia e nei periodi di magra era costretta a
fare la donna di servizio.
Come era Greta da piccola?
Ero una bambina dal carattere malinconico e piuttosto chiuso.
Preferivo restare sola appartata a fantasticare piuttosto che
giocare con i miei coetanei.
E’ vero che non considerava i suoi coetanei all’altezza delle
sue fantasie?
No, mi ritenevo una bambina come tutte le altre, però mi
capitava spesso di sentirmi un attimo prima molto felice e
subito dopo molto depressa. Questo chiaramente disorientava i
miei piccoli amici.
Ho letto che preferiva fantasticare anziché giocare. E’ vero?
Il mio gioco preferito era fare teatro, recitare e organizzare
spettacoli nella cucina di casa. Adoravo truccarmi e mettermi
addosso abiti vecchi, rovistare nel baule delle meraviglie, per
poi immaginare drammi e commedie.
Ancora quindicenne, alla morte di suo padre, dovette
abbandonare la scuola…
Purtroppo sì. Ricordo che poco prima della sua morte lo
accompagnai in ospedale e qui fui sottoposta ad una serie di
domande. La direzione dell’ospedale voleva accertarsi se la mia
famiglia fosse in grado di pagare la degenza. Per me fu
umiliante! Da quel giorno giurai che avrei guadagnato tanti
soldi senza più subire simili mortificazioni.
Iniziò a lavorare?
Dapprima nella bottega di un barbiere, ma non mi piaceva, e
andai a fare la commessa nel più grande emporio di Stoccolma: il
Pub. Comunque consideravo questi lavori come un passaggio
obbligato nel percorso della notorietà.
Infatti tra i reparti del Pub conobbe il regista Erik
Petshler...
Erik mi aveva già notata in alcune foto pubblicitarie che
reclamizzavano il grande magazzino. Ma l’incontro fu decisamente
casuale. Quando entrò nel reparto di modisteria fui io stessa a
servirlo. Cercava cappelli per un film ed io mi divertii un
mondo con lui e ripensai a quando rovistavo nel baule delle
meraviglie in cerca di un vestito, un cappello, uno straccetto
che caratterizzasse il mio personaggio.
E’ vero che sfrontatamente gli chiese di poter partecipare ad
uno dei suoi film?
Lui fu impressionato dai miei modi gentili, rimase un attimo
interdetto, mi scrutò da capo a piedi e subito dopo mi diede il
suo assenso, per me inaspettato. Feci salti di gioia. Ricordo
che chiesi subito alla direzione un anticipo di ferie, ma mi
venne negato! Allora decisi di licenziarmi per inseguire il mio
sogno.
Diventaste subito amici?
Grazie a lui feci i primi passi nel mondo nel cinema, dapprima
con piccole particine e via via con ruoli sempre più importanti.
Da come la racconta sembra che il passaggio sia stato molto
agevole.
No, no, anzi… Dovetti superare prima una dura selezione. A
fatica riuscii a vincere un concorso che mi consentì di studiare
gratis per tre anni all'Accademia Regia di Stoccolma.
Lì incontrò Mauritz Stiller, regista eccentrico e
trasgressivo.
Mauritz era un finlandese renitente alla leva. Si era rifugiato
in Svezia. Quando lo conobbi aveva quarant'anni ed io diciotto.
Lei capisce vero? Al tempo godeva già d'una certa notorietà e
era considerato un innovatore della tecnica cinematografica.
Stiller sarà il suo maestro e… non solo
Esercitò una profonda influenza su di me sia dal lato
professionale che emotivo.
Nasce Greta Garbo.
Su consiglio di Stiller decisi di cambiare il mio nome in Greta
Garbo, ispirandomi al nome del re ungherese del secolo XVII
Bethlen Gabor.
Madame, dicono di lei che abbia inventato uno stile nel
vestire.
La cosa non fu del tutto consapevole. Era il mio modo abituale
indossare giacche di taglio maschile, pantaloni, camicia e
cravatta.
Insomma un personaggio che la fa conoscere oltre i confini!
Nel 1925 venni chiamata in Germania per interpretare Die
freudlose Gasse (ndr. La via senza gioia) di Georg W. Pabst. Un
complicato melodramma dove però riuscii a dare il meglio di me
stessa. Quel film mi lanciò verso un futuro hollywoodiano
strappando un contratto alla MGM
Hollywood la trasforma in un mito!
Mio malgrado. Nei primi anni ricordo, scrivevo lettere disperate
ai miei amici svedesi, dicendo di essere scontenta dei miei
primi film. Assolutamente non mi piacevano quei film americani!
Scontenta ma anche caparbia!
Dovetti aspettare quattro anni e interpretare ancora sette film
muti prima di venire impiegata in un film sonoro. Mi misi a
studiare l’inglese per migliorare il mio accento. E finalmente
mi capitò l’occasione in Anna Christie, dove entrando in uno
squallido bar del porto dissi le mie prime parole al barista
Jimmy: “Un whisky con ginger-ale a parte. E non fare l'avaro!”
Fu un sogno!
Si alza e tira fuori da un cassetto vecchi rotocalchi
dell’epoca. Mi mostra i titoli a caratteri cubitali delle prime
pagine: "Garbo talks!", ovvero "la Garbo parla!".
In soli dieci anni interpretò una ventina di film. La sua
figura è legata ad un unico ruolo, quello della seduttrice dalla
vita tormentata e destinata ad una fine tragica.
Mi offrivano parti da vamp seducenti e distruttive, prive di
scrupoli, che io detestavo. Avrei voluto interpretare ruoli più
aderenti alla mia personalità. Ed invece finivo per essere una
spia, una regina del doppiogioco, un’assassina,
un’aristocratica, moglie infedele, ammaliatrice e donna
irresistibile, cortigiana e prostituta…
Perché secondo lei le offrirono solo ruoli da femme fatale?
Io chiedevo di essere svincolata da questo ruolo riduttivo ma
loro erano convinti che l'immagine da eroina positiva non mi si
addicesse.
Sono di questo periodo: La regina Cristina, Anna Karenina,
Margherita Gautier, Mata Hari, Maria Walewska…
Come vede ruoli sempre uguali che cominciavano a starmi stretti.
Cercai di dare il massimo nonostante l'ordinarietà della
sceneggiatura e soprattutto la presenza di partner che non erano
all'altezza.
Ma al pubblico piaceva... immediatamente conquistò le platee
di tutto il mondo, grazie alla sua bellezza gelida e raffinata..
tanto che i suoi fans le attribuirono l’appellativo di "Divina".
Spero anche per la mia recitazione! In fin dei conti riuscivo a
passare con disinvoltura dai ruoli drammatici a quelli
sentimentali.
La famosa bellezza della sofferenza?
I critici del tempo dicevano che dovevo la mia fortuna alla
magia del mio sguardo che riusciva a trasmettere
contemporaneamente dramma e voluttà. Insomma un incrocio tra la
femme fatale peccaminosa e la vergine innocente predisposta al
sacrificio.
La stampa rosa d'ogni tempo si è sperticata a studiare al
microscopio le sue tendenze sessuali
Ero gelosa della mia vita privata. Non concedevo mai interviste
e non posavo per servizi fotografici. I fotoreporter di sempre
si dovettero accontentare della mia immagine di sfuggita,
mentre, avvolta in un cappotto lungo fino ai piedi, grossi
occhiali da sole e il capo avvolto in un'ampia sciarpa, uscivo
di casa per recarmi a fare la spesa.
Proprio alla sua riservatezza è dovuta la leggenda Garbo.
Per difendermi dai pettegolezzi, quando giravo, chiedevo che il
set fosse inaccessibile a chiunque, tranne naturalmente per il
regista, l'operatore e gli attori che dovevano partecipare alla
scena. Arrivavo al punto di far recintare il set con una tenda
scura... Se qualche estraneo riusciva ad imbucarsi smettevo
immediatamente di recitare e mi rifugiavo nel camerino.
Una dura battaglia contro lo "Star System"?
Detestavo la pubblicità, odiavo le interviste e soprattutto non
sopportavo la vita mondana.
Lasciò il cinema ancora giovane, nel 1941, a soli 36 anni
Decisi di abbandonare le scene dopo l’infelice esperienza di
Two-Faced Woman (ndr. Non tradirmi con me) di George Cukor. Si
rivelò un fiasco di pubblico e di critica! Ma soprattutto volevo
lasciare una mia immagine giovane, inorridivo invecchiare
davanti al mio pubblico.
E’ vero che disse: "In questo crudo nuovo mondo non c'è più
posto per me"?
Sì esatto e non era una battuta di un film come qualcuno scrisse
più tardi.
Come fu il suo rapporto con l’America.
Mi sono sentita sempre ospite. Avevamo mentalità diverse. Ma nel
1951 presi la cittadinanza.
Fu nominata tre volte all'Oscar ma non l'ottenne mai.
Come detto non facendo parte dello Star System era estremamente
difficile ottenerlo. In quelle condizioni le mie colleghe
concorrenti ebbero gioco facile, anche se nel 54 rimediarono con
un Oscar alla carriera. Naturalmente non partecipai alla
cerimonia del ritiro.
Posso chiederle del suo rapporto con Marlene Dietrich? I
giornali rosa si sono sempre divertiti a vederci un’amicizia…
come dire… oltre l’amicizia…
Sorseggia il suo caffè. Capisco che devo passare ad un’altra
domanda.
Si dice che l’appassionava, in privato, fumare pipe lunghe da
uomo.
Alza lo sguardo, i suoi occhi sono gelidi.
Mi scusi, ma la mia vita privata rimane privata anche ora.
In questo non sono per nulla cambiata!
Si alza facendomi capire che l’intervista è finita. Va verso
la finestra. Accenna ad un impercettibile sorriso quando vede il
suo cane giocare. Dopo alcuni secondi una cameriera apre la
porta, capisco che devo andare. La saluto e lei gentilmente
risponde anche se non si volta. Mentre scendo le scale, sbircio
il mio blocco note, eh già, rimanevano solo domande sulla sua
vita privata… Sui suoi grandi amori: Maurice Stiller, John
Gilbert, Leopold Stokowski. Sulla baronessa Olga de Rothschild.
Sui suoi amori giovanili, della strana amicizia che la legò a
Mimi Pollak, una sua compagna all'Accademia d'arte drammatica di
Stoccolma. E poi di Mercedes de Acosta, se è vero che si
divertivano a fotografarsi nude….
Nel 1950 la rivista Variety la nominò migliore attrice dei primi
cinquant'anni del secolo. Condusse, da allora una vita
assolutamente riservata, sfuggendo alla caccia di cronisti che
invano tentarono d'avvicinarla.
La Divina, ormai, apparteneva al mito e all'immaginario
collettivo. Lascerà per sempre il suo amato pubblico, quel
pubblico che grazie a lei aveva tanto sognato. Non a caso i
rotocalchi titolavano "La Garbo è eterna perché eterni sono i
sogni degli uomini”.
Il decesso avvenne il giorno di Pasqua del 1990, era il 15
Aprile, al Medical Center di Manhattan. Aveva ottantaquattro
anni. In perfetta sintonia con l'alone di mistero che da sempre
le era stato compagno, ha imposto il silenzio sui particolari
del decesso dovuto ad una malattia che per lungo tempo l'aveva
stremata.
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